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142 IL BUON CUORE


di così grave e di così misterioso che le sorelle, rese ormai quasi timide dall’imminenza dell’attesa ora di festa, l’interrogarono finalmente, per sapere qualche cosa da lei, da lei che sola aveva veduto....

Ed essa favellò, con l’oscuro verbo che è pur nel silenzio degli istrumenti canori, che si comprendono fra loro, e che si fanno comprendere talora anche dai peregrinanti del sogno.

— Come l’accento di un re — così sospirò la Marangona bruna — io regolai un giorno la vita di questo popolo; come il cuore di una madre io ebbi un palpito per ogni gioia e per ogni dolore. V’è nel mio nome la significazione profonda del richiamo destinato a trarre, con la potenza del metallico grido che corre sulle onde (così come a notte i fari lo sorvolano con le file dei raggi additanti) al porto che aspetta; alle madri che implorano; alla città che attende, i nomadi figli, i conquistatori degli azzurri regni, i dominatori delle isole belle, sorrise ai raggi di oriente.

«V’è nel vostro nome — spiegò ancora la vecchia campana — nel vostro nome che quasi ignorate, un profondo senso di dipendenza prona alla mia voce, cui non pensavate, forse; un accorato senso di preghiere e di tristezza, un nostalgico senso di umile devozione di fronte alla meravigliosa maestà del cielo e del mare».

E proseguì la Marangona:

«V’è anche nel vostro nome la varia dolcezza e la tristezza varia delle ore del giorno. Tu ti chiami Nona — disse rivolta alla più vicina — ed è tua la voce del vespro; e quell’altra più piccola è destinata a seguirti fra i cirri rossi del sole declinante, con passo affrettante di umile ancella. Per questo ella vien detta Trottiera o Dietro Nona. Era te e lei vi è pertanto una vostra sorella mezzana. la Mezza-Terza o Pregadi, e il suo suono più dimesso è quello che talora tocca più profondamente i cuori. E tu ultima, tu dalla voce più giovinetta, sai come ti chiami? E’ duplice il tuo nome, ed è l’uno di terrore, di speranza l’altro. Campana del Malefizio o Preghiera, si nomò quella che occupò il tuo posto nei secoli; ma forse ti chiameranno soltanto Preghiera perchè gli uomini più non credono alle oscure malie, ma credono e crederanno sempre — pur se non lo confessino — alla dolcezza suprema della preghiera.... Ma, sorelle mie nuove, chiamate da poco nella cella comune, dove e quando troverete voi la grande, la magica voce del trionfo che fu un giorno là voce della Repubblica? I vostri sonni non mai saranno rotti al fremere delle bianche ali del mare, che sfiorando le onde vengano a portare ai piedi di S. Marco gli allori della vittoria. Non mai, non mai, saluterete i magici riti nuziali, di Venezia con l’Oceano; non mai, non mai saprete le ebrezze dei ritorni trionfali di Oriente. Tutto il passato è chiuso nel mio cuore, nel mio bronzeo cuore, che ebbe attraverso i secoli la molteplice voce del cuore dei popoli, che fu issato quassù perchè il suo palpito fosse tanto possente da destare la più torpida eco della notte dei tempi.

«Io vi compatisco sorelle di oggi — mormorò ancora la campana vecchia — perchè non avete storia. Quando e ne fremono ancora tutte le mie fibre ca-
nore — la torre vecchia oscillò, tremò, cigolò, precipitò inesorabilmente come Titano vinto, nello stupore della placida mattina estiva, io rimasi a sommo delle ruine come una gigantesca corolla nera sovra una roccia sanguigna. Le mie sorelle di allora erano infrante e la loro polvere era andata commista a quella del gigante. Ma non poteva morire la voce dei secoli, e non morì perciò la Marangona bruna che aveva per tutti cantato la fede, la speranza, che aveva a tutti distribuito la gloria, ripetuto, vanamente talvolta, la parola di amore. Il bronzeo cuore rimase vigile fra l’ammasso delle cose morte; ed esso fu tratto così chiuso, ma vibrante ancora, dal fantastico monte dei millenari detriti. Cominciò allora il mio esilio che doveva sembrare breve alla mia vita secolare e che parve lunghissimo poichè dormiva la mia voce; finchè lentamente, aspramente, ma trionfalmente, ascesi quassù. Rividi il mare, lo risalutai con breve palpito (che mi fu subito imposto il silenzio), e mi consolai delle cose nuove che mi erano d’intorno perchè l’onda era pur sempre quella, ed uguale era il cielo distesa sovra me, ed uguale anche il cuore degli uomini!

E la Marangona tacque, come assorta ancora nei suoi ricordi, finchè una delle campane giovani sommessamente, velatamente osò rispondere alle sue oscure parole: Quando noi emergevamo, dall’onda cadente in una vicina isoletta e quando fummo tratte quassù; e ancora nella notte passata ascoltando attentamente le confuse voci della sera salienti fin qui udimmo da coloro che ci foggiarono, che ci levarono in alto, e che ci hanno accompagnato, che ci accompagnano ancora con il loro sguardo in questa nuovissima dimora, noi udimmo profonde parole di speranza e di promesse maliose. Sapemmo che sul nostro cielo vedremo passare mirifiche ali che traverseranno lo spazio; così come un giorno tu vedesti quelle bianche dei velieri traversare le acque; e sappiamo anche che, spingendo lo sguardo laggiù nell’estremo lembo di questo nostro mare cilestre, urna cristallina, dove andranno a morire tutti i nostri canti, spingendo lo sguardo verso quel lembo ultimo, d’onde giungevano un giorno i trionfali gridi dei figli della tua bella Repubblica, noi udiremo ancora multiple voci levare in nuovissimo inno il nome d’Italia.

La Marangona ebbe corso tutto il bronzeo seno di speranza alla inattesa confidenza; e quando il segno del sacro rito ha sciolto il confidente silenzio delle cinque campane, l’inno festoso si è dispiegato, volteggiando innalzandosi in volate ebbre di spazio, correnti per il cielo, per le acque serene; disciogliendosi e riallacciandosi in accordi profondi, estenuandosi in grida di gioia, levandosi alto alto in una grande sublime multipla preghiera.

Le campane hanno cantato stamane la gloria di Dio e speranza del popolo come non mai; come non mai la loro voce ha ripetuto presso e lontano con suono dolce e solenne l’annunzio auspicato attraverso i secoli della pace fra gli uomini; ha portato fino ai cuori dei lontani, ovunque fossero creature di fede, la dolce promessa di un domani benedetto da Dio.