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378 IL BUON CUORE


I giuohi gladiatori ebbero fine, come tutti sanno, in seguito all’uccisione del monaco Telemaco nel 403 o nel 404. Nel 523, assumendo il Consolato Anicio Massimo, si diedero nell’anfiteatro Flavio gli ultimi spettacoli classici dei quali rimanga memoria. Con tale data si può chiudere il primo periodo della storia del Colosseo, quello a cui vanno congiunti gli episodi delle persecuzioni dei cristiani, perchè l’opinione di chi sostiene non potersi assicurare che l’arena del Colosseo sia stata bagnata dal sangue dei martiri contrasta con le testimonianze sufficientemente sicure che noi possediamo. E se di quelle gloriose vittime non ci è possibile dare un elenco specifico, possiamo ben ritenere il loro numero tutt’altro che scarso, essendo la proscrizione del Cristanesimo durata fino alla promulgazione dell’editto di Costantino.

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Nei periodi successivi la storia del Colosseo si compendia in una serie di danneggiamenti che il tempo e gli uomini portarono al grande monumento. Di tanto in tanto, per una fortunata risipiscenza, si pensò anche ai restauri, in considerazione, sia del valore storico e artistico della mole imponente, sia dell’utilità che essa potevo ancora offrire. I primi,danneggiamenti risalirebbero al regno di Antonino Pio e pare siano stati occasionati dal grande incendio avvenuto in Roma sotto lo stesso imperatore. Anche sotto il brevissimo impero di Macrino l’anfiteatro arse per un fulmine scoppiato nel giorno stesso dei Vulcanali. Allota restarono incendiati tutti i gradini e il recinto superiore, circondato da una grande quantità di legname; il ’resto fu dal fuoco semplicemente danneggiato, ed Eliogabalo ne iniziò i restauri. Nuovi e parziali incendi l’anfiteatro ebbe a subire anche in seguito. Dalla metà circa del secolo sesto al secolo undecimo il Colasse°, a quanto pare, rimase abbandonato, così che il terremoto che nell’8or recò a Roma danni gravissimi completava la rovina lentamente operata dal tempo. Sul finire del secolo XI esso subì le medesime vicissitudini degli altri grandiosi edifici di Roma antica, fu cioè convertito almeno in parte, in fortezza feudale e come tale se lo disputarono vari signori, finchè, posto sotto la giurisdizione del Senato e del popolo romano, venne nuovamente destinato a pubblici spettacoli. Furono essi le famose «giostre dei tori» di cui le descrizioni che ci sono rimaste interessano tanto la storia degli spettacoli celebrati nell’anfiteatro quanto la storia di Roma e delle sue famiglie più celebri. Questi spettacoli cruenti e deplorevoli pare non siano più stati ripetuti dopo i primi decenni del secolo decimoquarto tanto che il Colosseo ritornò di nuovo nell’abbandono di prima, anche per il terremoto che nel 1349 provocava la caduta di una parte del recinto, e durante il triste periodo dell’assenza dei Papi da Roma diventò nido di ladri e dimora di

malviventi che vi restarono fino al giorno in cui una Compagnia di giovani romani, detta del SS. Salvavatore a ad Sancta Sanctorum n, si assunse l’incarico di ridare sicurezza a quella parte della città. Spettacoli di genere ben diverso dai precedenti furono i drammi sacri che si dettero nel Colasse° sulla fine del secolo decimoquinto o sul principio del decimosesto. In uno spazio piano sopra gli archi delle antiche scaline limitato da un’ala di muro di forma circolare, si costituì una tribuna a guisa di teatro, ed in essa ogni anno, nel giorno del venerdì santo, si rappresentava la Passione di Cristo. Cessati i drammi sacri, il palcoscenico rimase abbandonato, come del resto l’intero edificio. Non molti anni dopo si arrivò al punto di farlo divenire campo di stregonerie notturne e il Cellini racconta nella sua vita che una notte egli stesso assistette ad uno di questi bei trattenimenti. Così per tanti secoli la sorte di questo insigne monumento ha oscillato fra il sentimento di chi, pur riconoscendo in lui l’opera di una civiltà pagana, non poteva però dimenticare come il sangue di numerosi martiri del Cristianesimo l’avesse consacrato e benedetto, e il progetto di altri che non vedevano nel grande e pur danneggiato edificio se non il teatro profano in cui la grande affluenza di spettatori poteva compensare le enormi spese di adattamento e, in certo modo, il sacrificio di vittime umane. immolate nem più sull’altare degli dei, ma su quello della ambizione e della temerità. E quanto sia stato difficile liberarsi da questi fatali pregiudizi lò dimostra un fatto sintomatico. Nell’anno 1671 ci fu chi pensò di servirsi nuovamente dell’anfiteatro per darvi spettacoli pubblici, riproducendo le famose caccie dei tori, e il cardinal Altieri e il Senato romano osarono dare il permesso con un decreto che fortunatamente non ebbe poi corso, perchè Clemente X, ad istanza del P. D. Carlo Tornassi pubblicò quindi’ due opuscoli sull’anfitaetro Flavio, cercando di dimostrare la santità del luogo, la venerazione in cui doveva tenersi e il rispetto che i fedeli dovevano nutrire per quell’arena già santificata dal sangue cristiano. Omnis caesareo cedat labor amphitheatro Unum (irae cunctis fama loquatur opus. Così esalta Marziale il monumento che va considerato un indice della grandezza romana e del quale noi oggi non possiamo avere se non un pallido con-.etto di ciò che fu nell’epoca del maggior splendore. Gli insulti del tempo, è vero non sono bastati per distruggerne l’ossatura che ci dà ancora oggi la impressione di un colosso meraviglioso, ma che cosa vediamo noi oramai di quella immensa ricchezza di rivestimenti e di decorazioni in sasso, in bronzo, in ferro, in legno di cui il Colosseo dovette essere sovracarico? Più nulla dacchè tutto è scomparso, asportato da vandali e da ladroni di ogni specie. Tuttavia giustamente osserva il Colagrossi, l’autore di questo pregiato libro dal quale abbiamo desunti i cenni che