Pagina:Il buon cuore - Anno XII, n. 48 - 29 novembre 1913.pdf/6

Da Wikisource.
382 IL BUON CUORE


facile incarico, i piccoli Ciechi, riconoscendola e salutandola per la prima volta, le dicevano: a la mamma abbiam perduta... Tu sei la nuova mamma», ed Ella sorrideva a questo figliale, affettuoso saluto, e lo accoglieva benigna come un voto, una preghiera, che da quel giorno sino ad oggi hanno toccato il suo cuore nobile e pietoso, e dal suo cuore, nobile e pietoso furono largamente esauditi. Cara, illustre Dama, potessero, in questo triste momento, i piccoli figli del tuo cuore, esprimerti il loro grande dolore per l’irreparabile tua dipartita! Ma dal Cielo, ove già avrà premio la tua grande carità, li guarda, li assisti, li proteggi ancora; l’angelico sorriso del tuo spirito li conforti in questo istante, come già in quel giorno fortunato in cui per la prima volta ti chiamarono la loro mamma; ed essi, memori e riconoscènti, ti risponderanno oggi e sempre coll’omaggio del loro ricordo, del loro affetto, della loro pregliera per Te presso il buon Dio. Il Prevosto di S. Tomaso, Don Luigi Marazzani, che aveva assistito la Marchesa negli ultimi momenti della sua vita, ricordò infine con parole commoventi la fede e la cartià, che avevano caratterizzato la Marchesa. La salma tumulata provvisoriamente nel Cimitero Monumentale, verrà in seguito portata nel sepolcro di famiglia a Bellagio.

ROSA BRAMBILLA (Cieca)

Un mesto corteo muoveva lunedì mattina dalla Chiesa dell’Ospedale Maggiore per il Cimitero di IVIusocco. Faceva corona al feretro un numeroso stuolo di Allieve dell’Istituto dei Ciechi, venute a prestare l’ultimo tributo di ricordo alla loro compagna Rosa Brambilla, che per molti anni, nel corso. dell’istruzione, aveva vissuto con esse nell’Istituto. Era orfana di padre fin dai primi anni, e aveva posto tutto il suo affetto nella madre, che assiduamente la visitava. Colpita da mal sottile, non essendo prudente trattenerla a lungo nelle infermerie dell’Istituto, fu ricoverata all’Ospedale Maggiore, dove rimase per più di due anni, edificando tutti colla sua inalterabile pazienza e serenità. Prima di uscire dalla Chiesa dell’Ospedale, il Rettore dell’Istituto pronunciò dinanzi al feretro le seguenti parole: E’ un angelo che è tornato in cielo. E’ frase che si ripete, e che è vera quando è detta per bambini, che muoiono nell’innocenza, prima di aver provate le aspre vicende della vita. Ma. qui è vera, ancor che quella che piangiamo fosse già in una gioventù avanzata. Pur relativa mente innanzi nell’età, conservò sempre l’ingenuità, la dolcezza, la serenità dei primi anni. Vi hanno persone presso cui il fisico è come l’espressione della vita morale interna: ella era una figura esile, che la lunga malattia aveva resa quasi diafana. La sua fronte era sempre serena, il labbro sorridente, la parola gentile: pareva che la pace, il candore della Madonna si riflettesse sopra il suo volto. E quanto ha sofferto! Fu già grande prova la natura del male che non perdona, e che essa fin da principio comprese che poteva aver dalla sorte, ma non apparve vinta mai. E un sacrificio maggiore le toccò in mezzo al sacrificio: Ella aveva sognato di chiudere i suoi giorni nelle pareti dell’Istituto che l’avevano ospitata giovinetta: una disposizione di riguardo verso le compagne, che essa, sentendola ben dura, fu la prima a riconoscere giusta, la condusse in queste mura, che aumentano il dolore proprio nello spettacolo del dolore altrui. Fu disposizione di Dio perchè la sua pazienza, la sua rassegnazione, tornassero di esempio alle numerose persone che la circondavano, e facessero sorgere la speranza e le consolazioni della fede in qualche anima travagliata, da gran tempo non più usa a gustarle. Dopo Dio, ebbe tre amori che esprimono tutte e tre le disposizioni dell’animo suo gentile e riconoscente: l’amor della madre, l’amor della sua distinta benefattrice, Donna Paolina Bellinzoni, l’amor dell’Istituto: come amò la sua madre, e quale schianto al suo cuore quando non potè più sentirsela al fianco, pose al posto della mamma la sua benefattrice, lieta di averla al fianco la vigilia stessa della morte: non rifiniva più di ringraziare tutte le persone dell’Istituto, compagne, maestre, superiori che nelle visite non interrotte le facevano quasi credere di trovarsi ancora nell’Istituto. Nella privazione di tutto, nel sacrificio della vita, si azzardò a manifestare un desiderio: era un ultimo omaggio alla fede che era sempre stata il suo conforto e la sua speranza: desiderò che la Santa Messa fosse celebrata nel tempo delle sue esequie, desiderò che il sacerdote la accompagnasse fino alla fossa, e non ci fosse quasi interruzione tra il sacerdote che l’accomiattavano dalla terra, e il sacerdote eterno, Cristo, che la riceveva entrando nel cielo. E’ nostra dolce convinzione che ne’ - suoi lunghi dolori sopportati con eroica pazienza ella non solo soddisfacesse i debiti del purgatorio, ma avesse preventivato una copiosa serie di meriti pel suo ingresso nel cielo! Addio, Rosa! Tu, anche partita, resterai fra di noi come una dolce visione: hai vissuto povera, muori povera: ma una doppia ricchezza è presso di te: l’esempio e i meriti, l’esempio di bene che lasci alla terra, la copia dei meriti che ti aCcompagnano al cielo.