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394 IL BUON CUORE


e solenni e come ad un segnale convenuto, un bisbiglio più vasto e più confuso, di voci, varie, or tristi, or dolci, si levò dal cupo mare dei tetti e mi cadde nell’anima come scherno contro le mie speranze, bieca realtà contro le mie utopistiche Illusioni. La vita è dolore! — La vita è miseria! — La vita è capriccio! — La vita è menzogna! — La vita è veleno! — La vita è nulla! — Ed ogni cosa si risolve in fumo! Fumo! Fumo! Fumo! Sulla via ferrata passò il vapore sbuffando. Dalla ciminiera della locomotiva partì un grido baldanzoso e rapido come il vento, un fischio che ta-4 gliò meravigliosamente lo spazio; e le stelle tremolanti lo accolsero nella eco dei cieli. La vita è una corsa, una folle, una ardita corsa verso l’infinito!! Scosso, vivificato, fui per gridare anche io qualche pazzia e l’avrei fatto certo se il comignolo pensatore non avesse mormorato: «Ma a questo modo, arriverai al tuo destino stanco, sudato, ansimante e... in ritardo» e se — perché mai? — non mi fosse accaduto di osservare che, spento ogni rumore ad ogni grido, rimanevano nell’aria, sole traccie fugaci di quel fragoroso passagio, alcuni cerchi azzurri di fumo evanescente. E il ritornello rassegnato ripeteva: Fumo! Fumo! Fumo! La campana del Duomo risuonò lenta, scandendo i dodici colpi nella grande pace della notte. Nessuna voce dalle gole dei comignoli s’alzò a contraddire. Ogni miseria della vita si dissolve all’inno solenne delle speranze immortali. Gherardo Gherardi.

Una gloria gloria milanese

Chiudo or ora sulla 501 pagina, l’ultima dl magnifico lussuoso volume dal titolo: a Un Apostolo di due Continenti» — Vita di a Mons. Eugenio Biffi» — un libro che è destinato ad incontrare più incondizionato favore. Ma lo chiudo, a lettura finita in qualche cosa come chi dicesse una allucinazitMe; per cui sempre nel dubbio di aver fatto un sogno delizioso oltre ogni dire e come trasognato, vo’ stropicciandomi gli occhi e chiedendo a me stesso se sia proprio realtà tutto il mirabile poema svolto sotto i miei occhi.

Poichè la vita di questo nostro concittadino, narrata in tutta la semplicità che è preferita dalle cose grandi, non è altro che un intreccio delle più svariate peripezie, di casi senza numero occorsi all’uomo di Dio nelle lunghe sue peregrinazioni missionarie durate quarant’anni, sbalestrato da Milano a Cartagena, poi a Birmania, e di nuovo a Cartagena, e da questi due — diciamo così — suoi quartieri generali, in tutte le più capricciose direzioni del vastissimo campo d’azione assegnatogli tassativamente dalla Santa Sede. E qual campo! Da parte del clima, enormemente pericoloso alla costituzione fisica degli europei; dal lato morale, se la Birmania aveva tutte le difficoltà di un paese (idolatra, la diocesi di Cartagena offriva tutti gli orrori di una antica chiesa in sfacelo. Da una parte il lavoro improbo dell’evangelizzazione di un paese vergine, semibarbaro; dall’altra — un morto da risuscitare. — E il nostro concittadino aveva con sè un solo compagno, che presto soccombeva alle fatiche e dalla febbre gialla! I suoi gemiti sono strazianti alla vista di una messe così abbondante e con mancanza ’assoluta di operai, e lancia i più disperati appelli di soccorso in tutte le direzioni, mentre egli, per nulla demoralizzato, anzi prendendo il suo,coraggio a due mani, si faceva in cento, accorreva dove maggiore era il bisogno a costo di privazioni, sacrifici, audacie che parrebbero immaginose avventure di un volume del Verne, se non fossero storicamente garantite. E’ tale l’affannosa smania di volare a punti lontanisimi della sua residenza, traverso paludi miasmatiche, foreste infestate da animali feroci: e serpi velenosissime, per terre seminate cl. insidie di ogni genere anche da parte degli uomini, che il respiro si arresta in una sospensione di attesa, come si scioglieranno cento e cento situazioni da cui tutto è a temersi. Non solo: è tale quell’affannosa smania, da costringerci a domandare non forse ci sia morbosità od isterismo, creati dalla tremenda solitudine cui deve condannarsi il Missionario. Ma no, la costituzione fisica di Monsi gnor Biffi non ammetteva nessuna forma di nevrastenia; era sana, robusta, salda così da sfidare ogni attacco di nervosismo;- più sano e robusto e saldo ancora era lo spirito suo,;in perfetto equilibrio, ma sopratutto sorretto da una virtù maschia e senza paura e senza macchia, da un’unione con Dio eccezionale anche nei migliori. Il suo era zelo divorante sotto l’azione di tal fiamma estremamente pura e attiva e penetrante compì il lavoro di più persone riunite assieme ed offrì lo spettacolo rarissimo di così colossale lavoro quale ce lo descrive il suo biografo. Si vede che la santa irrequietezza portata fino al parossismo, che l’argento vivo, come si esprime il volgo, per ciò che è lavoro di sacro ministero, non è in diocesi nostra di importazione recente; è d’antica data. Strani questi uomini apostolici! piccoli e deboli, destituiti di mezzi materiali, di danaro; di compagni di lavoro, contrariati, ridotti a vivere in squal