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Attraverso a queste citazioni, a questi pensieri, raccolti qua e là, a caso, senza il benché minimo criterio di cernita, è facile ’comprendere quale sia il valore del piccolo libro modesto, al quale auguriamo la più larga diffusione. Per sè, per il bene che potrà fare, per il ricordo del grande apostolo, ma:sopratutto per le Opere di Carità di S. Gregorio, a beneficio delle quali è stato stampato. Giulio Tarra, primo rettore dell’Istituto dei sordo-muti poveri di campagna in Milano, accolse fra le sue braccia l’Opera bambina — la fece crescere sotto l’impulso potente della sua mente illuminata e del suo cuore generoso e, sagace com’era ne intuì tutti i bisogni e, quando ed in quanto potè, vi provvide., Era naturale che, mentre ci si attende a soccorrere le Opere di S. Gregorio, in uno slancio di iniziative buone e di generoSità cristiana, vi si facesse collaborare l’apostolo infaticabile dei sordo-muti. Egli scrive così nelle opere compiute dai suoi successori, tutti compresi ed accesi dell’esempio di lui, santo e grande. Giovanni Mussio.

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33 CRONACHE DI COLTURA

Un maestro antico Continuazione e fine del numero 13.

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Nè ci par necessario dire quale sia mai la soluzione Che, di codesti delicatissimi quesiti, l’Alessandrino, con secura perspicuità, proponga e propugni: basti ricordare che egli, esaminando con apostolico senso di realismo, le reali innegabili condizioni del giovane di fronte ai molteplici fattori di corrompimento, asserisce, a modo di principio, che nell’ordine naturale «il miglior rimedio contro l’intemperanza è la ragione». Congiuntamente, quindi, ragione e fede illumineranno la fronte del giovine casto e forte, educato alla luce: tale che, senza infingimenti e senza dubbiezze Possa, nell’età virile, raggiungere la sintesi di tutte le poderose forze risvegliate nell’anima, e affrontare Come un signore di sè medesimo, la vita del secolo. I due capitoli che il P. Lahnde dedica alle «convenienze cristiane», sono, quindi, i veri gioielli di un ideale galateo della vita cristiana vissuta nel mondo: C’è tutta una integrale «pedagogia della tavola», la correttezza, l’eleganza del gesto e dei modi, cioè, quali si rivelano nel pasto, nell’ora in cui tutta la famiglia Si raccoglie e celebra la sua più elevata intimità. Clemente, colla facile luminosa capacità artistica del suo genio, si raffigura il lieto «ménage» cristiano, libero e puro di tutti gli eccessi ripugnanti ed ineleganti che contaminano il banchetto dei pagani; che pratica la moderazione nel cibo e nelle bevande, che resta lontano dalle intemperanze di quelle conversazioni che, scaldate dal vino, degenerano, tanto facilmente, in

discorsi scorretti o in litigi dolorosi; il buon maestro antico vuole dei volti sorridenti; invece, delle tavole dove sia concesso, sì, d’inverno, un po’ di vino, ma dove il latte predomini e sopratutto l’acqua pura delle fontane. Nè la parola del Vangelo tace, ancora: i precetti del buon gusto cristiano debbono essere applicati anche alla toletta e, contro il lusso sfrenato ed effeminato, caratteristico di tutte le età di decadenza, esaltano la semi plicità, in nome non solo del bene, ma puranché della verace bellezza: «Se siete belle — così, con questa mirabile semplicità apostolica vestita di purissima grazia, parla codesto padre della Chiesa, rivolgendosi alle signore — la natura basta a rendervi piacevoli, se siete brutte, i vostri fronzoli non faranno che sottolineare la vostra’ bruttezza...». Ed illumina l’immagine bella del cristiano ideale, dalla barba fluente, dalla chioma accurata, non sdegnoso dei buoni e salutari profumi, avvolto in soffici tuniche bianche. Nè di questa visione eletta di spirituale eleganza Clemente resta appagato: il galateo cristiano, dopo aver permeato le piccole quotidiane cose della vita, modererà anche le grandi, ispirando, potentemente, l’educazione e la vita sociale del fedele: tra il capitalismo egoistico e il collettivismo geloso, la saggezza evangelica consiglia l’uso buono e giusto delle ricchezze, l’accettazione di esse come di un mezzo atto a far esercitare un ministero, il ministero della carità nel senso più elevato e fecondo del termine. L’azione, l’apostolato fraterno e sociale sono dunque il coronamento di una bene intesa e ben condotta educazione, perseguita, come la vuole Clemente, nella famiglia e per mezzo della famiglia. Allora l’Alessandrino vede adempiuto il suo compito, e tace: «E tempo per Inc — egli conclude --,di porre termine a questo corso; e per voi, di andare ad ascoltare un altro Maestro». Questi è il Maestro Eterno, l’Unico: Gesù.

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Cosi, sul limitar del secolo corrotto e corrompitore, nel cuore stesso della ambigua città mortale, si leva l’immagine purissima del cittadino cristiano: l’anima, rinnovellata nell’annuncio— evangelico, la volontà ritemprata nell’amore del Viandante divino, egli appare il vindice di tutte- le liberazioni, l’artefice di tutte le rinascite. Tutto un universo si consuma attorno a lui, tutto un mondo ebbro di dissolvimento e di desolazione: esemplare superbo di sanità morale, creatura esuberante di gagliardia nella congiunta purezza dell’anima e del sangue, il cristiano è splendidamente, il figlio dell’energia, l’operaio della città nuova. Aitante nel candore della tunica bianca, la barba fiorente, la composta chioma odorante, agile ai giuochi sotto il sole, salutante, a notte, nella letizia del canto, il Padre vigile raccolto e raggiante nel tempio, lieto, operoso, benefico: eccola, la creatura cristiana siccome la saluta l’umile e grande maestro antico, eccola balzare dalla vita. Si che voi, nelle pagine aùguste dell’Alessandrino