Pagina:Il buon cuore - Anno XIII, n. 26 - 27 giugno 1914.pdf/2

Da Wikisource.

necessario nutrimento in un piccolo centro segregato del mondo. Sin dal primo svegliarsi della mia intelligenza egli aveva notato in me la inclinazione imperiosa, irresistibile a divenire artista: scultore, pittore musicista, architetto o scrittore era indifferente: ’la mia ’brama comprendeva tutte le arti. Siccome però i mezzi per farmi frequentare una scuola di belle arti gli mancavano affatto, egli stimò che la meglio fosse di mettermi come apprendista da un pittore. Ottima intenzione la sua, senonchè il pittore scovato altro non era, in realtà, che un inverniciatore: io dovevo aiutare costui a dare il colore a usci, portoni, finestre, e tornavo ogni sera a casa così coperto di macchie e così triste che in breve mio padre si convinse non esser quella la via. Passai allora da un tornitore che torniva impugnature di bastoni; ma anche presso di lui non rimasi a lungo. «Visto che con l’arte non si riesce a cavare un ragno da un buco, io ti consiglio, ragazzo mio, ad avviarti a far •l’impiegato come me. Almeno quando sarai vecchio una pensione non lauta ma sicura ti preserverà da preoccupazioni», mi disse mio padre, e mi collocò come scrivano presso un usciere di tribunale. Poveretto! Io non feci che consumare e sciupare tutta la sua provvista di carta, e più d’un debitore, invece dell’intimazione di pagamento, ricevette un foglio zeppo di versi senza capo nè coda. Assorto nelle mie fantasie, in rotta col mondo e con me stesso, io passavo ore ed ore seduto al gran tavolo da scrivere nella stanza arcaicamente ammobiliata. Nessun raggio di speranza mi confortava, mentre il desiderio dei miei, dei disegni e delle poesie abbozzati mi bruciava il cuore. Altri genitori avrebbero ricorso ormai alle percosse contro il monello ostinato a deviare dalla carreggiata • comune: mio padre invece seguitò a torturarsi il cervello per trovare il modo di aiutarmi. Fra i nastri conoscenti nessuno, all’infuori che nelle chiese, aveva mai veduto una scultura o una pittura. Di musica, in Miinden, era molto se talvolta alcuni filarmonici eseguivano un’oratorio. Con occhi lungi anelanti e i polsi febbrili io leggevo nel mio Goethe: «Conosci la casa, su colonne poggia il tuo tetto», e più oltre: Statue di marmo stan ritte e ti rimirano». Era questo la poesia? Nel ’piccolo cimitero, fra tombe in rovina, sorgeva una figura marmorea: era questo la scultura? Vecchie immagini di santi su fondo d’oro sorridevano nella chiesola dall’altare: era questo la pitturà? Era la musica la voce dell’organo, erano l’architettura la facciata in pietra arenaria ornata di colonne e il balcone riccamente scolpito del Rathaus? E dove poi poter venire in chiaro di tutto ciò: dove saziar di tutto ciò l’anima assetata: dove inebriarsi con tutto ciò sino al colmo della felicità terrena? Possibile che non vi fosse una persona che nel mio volto pallido e afflitto, negli occhi dell’adolescente non indovinasse quelle doti che son proprie degli artisti? No, non v’era! «Se non m’inganno — saltò fuori un giorno mio padre — l’oreficeria è fra le arti minori quella che più

  • s’avvicina alle grandi». E poichè l’orafo del luogo cercava un garzone io gli venni profferto.

Sotto la guida ’di questo maestro assai abile e colto io avrei potuto divenire un bravo orefice, ma... non lo divenni. Mentre, tirando il mantice, dovevo arroventare o saldare l’aro e l’argento, io mi ’distraevo, e scandivo versi, ideavo quadri, cantarellavo canzoni. Accadeva così che il prezioso metallo si struggeva, che persino gli oggetti più massicci non resistevano all’eccessivo calore e s’accartocciavano perdendo ogni forma, come le figurine di piombo nella notte di San Silvestro. Pezzi d’oro andavano spesso a cadere nel fuoco, siochè poi bisognava stacciare la cenere per ritrovarli ridotti in pallottole nere. %maestro m’insegnava minutamente a lavorare d’invede/4 anche al tempo stesso come specialmente la fu,vedevo anche al tempo stesso come specialment la funesta decadenza del buon gusto spingesse i ricchi della città e dei dintorni a far fondere nella nostra officina le loro antiche preziose argenterie, i vasellami, le filigrane, gli ornamenti d’oro. E’ vero che io sospettavo solo vagamente il valore di queste opere d’arte, ma nondimeno sento ancor oggi vivisimo rammarico ’d’esser stato costretto a distrugger tanti tesori. ’Le finestre della bottega fuligginosa, che io dovevo spazzare e riscaldare, davano su un cortiletto angusto. Nelle cupe giornate d’inverno, allorquando un uniforme strato di neve seppelliva ogni cosa in città e fuori, oh la tristezza invincibile che s’impadroniva del piccolo orafoapprendista dal viso i capelli e gli abiti neri di polvere di carbone! Era una tristezza che quasi fermava il battito del cuore. Come Dio volle, trascorsi tre anni e mezzo, il maestro dichiarò che non’aveva più altro da insegnarmi, che potevo pure cominciare a girare il mondo. Fui dunque a Hildesheim e poi a Cassel, ma dopo breve assenza, moralmente e fisicamente depresso, me ne tornai a casa. S’era alla vigilia della guerra del 1866. Un pomeriggio d’estate fulgido di sole, con un amico che da Weimar m’aveva riportata una cartella piena d’ottime incisioni risolsi ’di recarmi in un vicino villaggio dove sapevo che un contadino, nelle ore ’d’ozio, si divertiva a intagliare nel legno. Il brav’uomo, richiamato dai campi, venne a noi e senza farsi pregare ci mostrò subito i lavori •accatastati sul tavolino presso la finestra della sua cameretta. Un bassorilievo riproducente il quadro «Geremia su le rovine di Gerusalemme» di Benidemann attrasse specialmente la mia attenzione. -- Non potresti tentar anche tu qualche cosa di simile? — mi domandai. E correre allora a Miinden, cercare in tutte le botteghe di falegname un pezzo di basso grande il doppio dr quello del contadino, ’e poi, in casa, mettermi a lavorare febbrilmente alla luce che scarsa si diffondeva dalla finestra fu tutt’uno. Nei giorni seguenti, scoppiata la guerra, Miinden mutò rapidamente il suo aspetto tranquillo. Schiere interminabili di soldati percorsero le vie e da Langensalza giunse il rombo dei cannoni. I Prussiani s’acquartierarono pure da noi. Curiosi, i colossi d’ogni parte-della Germania set