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Anno XIV. | 15 Maggio 1915. | Num. 20. |
Giornale settimanale per le famiglie
IL BUON CUORE
Organo della SOCIETÀ AMICI DEL BENE
Bollettino dell’Associazione Nazionale per la difesa della fanciullezza abbandonata della Provvidenza Materna, della Provvidenza Baliatica e dell'Opera Pia Catena
E il tesor negato al fasto Manzoni — La Risurrezione. |
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La nostra carità dev’essere un continuo beneficare, un beneficar tutti senza limite e senza eccezione.
Rosmini — Opere spirit., pag. 191.
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Direzione ed Amministrazione presso la Tipografia Editrice L. F. COGLIATI, Corso Porta Romana, N. 17.
SOMMARIO:
Un grido insensato. — Se va o noo se va? (poesia). — Litanie della pace
per la patria.
Educazione ed Istruzione
I versi imitativi
In tutti i trattati scolastici di elocuzione o di rettorica, e in particolar modo nei trattati di versificazione, si discorre più o meno della dosi detta «armonia imitativa» mediante la quale i poeti, col suono delle parole, cercano di imitare in qualche modo i suoni e le voci della natura.
In questi trattati si trovano immancabilmente ripetuti i soliti esempi, il
Procumbit humi bos....
e il
Quadrupedante putrem sonitu quatit ungula campum
di Virgilio, che pronunciati dal professore di ginnasio nella sua classe con voce adattata, fanno sentire agli stupefatti studentelli il cadere pesante del bue al suolo e il galoppare del cavallo. E il bravo professore non manca mai di far sentire ai suoi allievi il suono della tromba nei famosi versi del Tasso:
Chiama gli abitator dell’ombre eterne
Il rauco suon della tartarea tromba,
e il guaire della cagnolina in quelli del Parini
Aita, aita
Parea dicesse, e dalle arcate volte
A lei l’impietosita Eco rispose.
Di queste imitazioni se ne debbono, distinguere due sorta. Quelle ottenute con parole che più o meno riproducono il suono che vuolsi imitare, ma nello stesso
tempo esprimono un pensiero. E’ evidente che le imitazioni di questo genere, quando siano ben trovate, conferiscono grande bellezza alla poesia. Nell’ultimo esempio sopra citato, le parole aita, aita, sembra ci facciano proprio udire il guaito della cagnolina colpita dal «villan piede» del servo. Se il poeta avesse detto invece, per esempio, guaì, guaì, l’armonia imitativa l’avrebbe ottenuta egualmente, ma avrebbe espresso un pensiero assai comune, perchè chiunque è capace di pensare che un cane al ricevere un calcio guaisce.
L’altro genere di imitazione dei suoni è invece ottenuto con voci che non sono registrate nei dizionari perchè di per sè non significano nulla, e possono andare all’infinito. Tra esse ve ne sono alcune assai in uso come din, don, din, dan, per esprimere il suono delle campane chicchirichi, con cui viene imitato il canto del gallo; rataplan, che riproduce il rullar del tamburo, ecc.; ma altre innumerevoli sono di solito create per l’occasione dal poeta, il quale, in tal guisa può fabbricarne quante ne voglia; e siccome in realtà non esprimono alcun pensiero, non essendo altro che un suono vuoto, avviene per queste onomatopee ciò che avviene per la musica, che ognuno la interpreta come la sente. Il più allegro valtzer di Strauss può invece dell’allegria eccitare il pianto in chi si trova in un dato stato di animo, e nella stessa guisa in poesia un verso imitativo, composto nel modo ora indicato, può produrre effetti assai diversi di quello cercato dall’autore. Per esempio, nella Bufera del Pascoli il verso
uuh... uuh... uuh...
con cui termina ogni strofa, invece del senso di lugubre terrore ché il poeta ha inteso con esso di suscitare, potrebbe specialmente se la poesia fosse recitata da un lombardo, suscitare l’ilarità.
Si capisce anche che i versi imitativi di questa seconda specie, sono più facili che non quelli della prima specie, e perciò abbondano nella poesia popolare. Il Parzanese nel suo Fabbro ferraio finisce ogni strofa col verso:
Ton ton tan tà, ton ton tan tà;
chiude quelle della poesia La Campana col ritornello:
Dig din, dog don,