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274 IL BUON CUORE


buoni di credito che permettevano a ciascuno di ritirare dai mgazzini dell’Associazione, i vari oggetti di cui aveva bisogno. Così i buoni lavoratori potevano procurarsi tutto ciò che volevano, quelli che lavoravano poco non potevano procurarsi che lo stretto necessario, e coloro che non volevano far nulla si vedevano negato recisamente qualsiasi soccorso. Le leggi, compilate da una commissione di venticinque membri che erano stati eletti a suffragio universale, erano molto rigorose; quasi tutti i delitti erano puniti colla morte. L’amministrazione della giustizia era affidata a due giudici nominati dal comitato legislativo, il quale eleggeva anche ogni tre anni due presidenti; questi avevano accanto a sè alti funzionari e ministri, uno dei quali era incaricato dell’approvvigionamento dei magazzini, il secondo ripartiva il lavoro fra tutti i membri della Comunità, il terzo era incaricato di vendere, all’estero, l’oro ammucchiato nei depositi della federazione. Intanto il numero dei Cungusi crescendo sempre più con l’aggiungersi di nuovi fuggitivi, venne il giorno in cui i terreni auriferi furono tutti occupati. Naturalmente i primi occupanti non erano punto disposti a cedere il loro dominio, e già stava per scoppiare un conflitto fra i primi e gli ultimi venuti, quando si riuscì a stabilire un accordo: i possessori auriferi fornirono agli altri tutto ciò che era loro indispensabile per tre mesi; e questo tempo bastò perchè questi potessero costituire delle associazioni di briganti che si sparsero per tutta la Manciuria e si misero a saccheggiare il paese. Questi briganti furono i veri Cungusi. Da principio i briganti Cungusi si limitarono ad assalire i viaggiatori isolati o senza difesa; e seguendo l’esempio dei membri della Siao-lu-hoei, ossia della associazione di ladri che prospera da secoli nel Celeste Impero, si recavano alle fiere e ai mercati per esercitare la loro industria in mezzo alla folla. E’ curioso il fatto che quando qualcuno veniva derubato, se egli si recava a trovare il rappresentante ufficiale che i briganti avevano in ciascun centro di popolazione, poteva rientrare in possesso del suo, pagando una somma eguale a un terzo o un quarto del valore della roba rubata. Col tempo questi briganti diventarono sempre più audaci: fermavano le carovane, avevano stabilito su tutte le strade della Manciuria delle stazioni, taglieggiavano i convogli stessi del Governo, saccheggiavano i piccoli villaggi, imponevano contribuzioni alle città più importanti. Quando fermavano qualche barca carica di merce al confluente dei fiumi che si gettano nell’Amur; andavano a vendere la merce nella città più vicina, tenerdo intanto prigioniero il proprietario della barca, e terminata I operazione gli restituivano la barca e gli consegnavano il ricavato della vendita tenendo per sè il 35 o il 40 per cento. ’ briganti potevano mostrarsi di pieno giorno, perfino nelle strade delle principali città; tutti li conoscevano ma nessuno osava denunciarli.

Ma la scandalosa audacia dei Cungusi finì col rovinarli. Una volta es i catturarono dei generali cinesi che avevano rifiutato di trattare con loro; e fecero sapere al governo di Pechino che non li avrebbero rilasciati se esso non avesse pagato un riscatto. Il Governo rifiutò di cedere a questa ingiunzione e risolvette di fare un grande sforzo per sbarazzare là Manciuria da quel flagello. Fu rrap_&to contro i Cungusi un vero esercito, ma la maggio: parte dei briganti riuscì a fuggire riparando sulle inaccessibili montagne; così la spedizione fece più danno alle pacifiche federazioni dei minatori che ai briganti. L’incursione fatta dai Cungusi nel 1900 sulla riva sinistra dell’Amur fu il pretesto che permise alle truppe russe della Siberia di occupare la Manciuria. Dopo l’occupazione i russi cercarono con ogni mezzo di amicarsi gli indigeni, e di ricondurre nella regione l’ordine, e facendo affluire milioni di rubli, prccurarono agli abitanti una prosperità materiale che prima essi non avevano conosciuta.

L’arte di domani

E dopo? Quando la pace riaprirà le ali, ahimè, non più candide sopra questa nostra povera Europa, e i giornali non parleranno più ogni giorno di nuove disfatte e di stragi e di carneficine, quando ogni famiglia richiudendosi nella propria casa (quelle che troveranno ancora la propria casa) resterà pensosa a ricordare gli scomparsi, e quando tuttavia la vita ripiglierà la sua forza di rassegnazione e di rinnovazione inesauribile, e le anime sentiranno bisogno di un ricreamento e l’arte fiorirà di nuovo a rendere gentile ogni amore, al ora, come si presenterà la nuova ‘ita dello spirito, quale sarà il sentimento, di cui l’arte nuova si renderà l’interprete e la creatrice divina? Noi ci rivolgeremo ai passato, guarderemo al 1913 dopo il silenzio del 1914, e vedremo quell’anno già dito più distante, che non possiamo immaginare. Il tempo è fatto lungo o breve dalla quantità di azioni che lo occupano: ora questo 1914 nefasto ha accumulata una tale congerie di fatti giorno per giorno, che noi possiamo bene ritenere di avere vissuto almeno un quarto di secolo. E l’arte — quella seria, quella degna di tal nome — che ha dovuto tacere in questo frattempo, si è venuta maturando ed evolvendo dentro gli spiriti eletti degli artisti, come si deve maturare ed evolvere il gusto del pubblico. In mezzo alle distrazioni tumultuose della cronaca quotidiana, davanti allo spettacolo vicino o lontano della distruzioneA e della morte, dell’ira selvaggia e della barbarie vanta dalica, l’arte non può a meno che venire raccogliendo l’espressione del grido violento, dello spasimo diuturno, grido e spasimo di chi sente la bellezza della vita e l’orrore dell’annientamento.

Perchè l’arte fu sempre l’espressione e la esalta