Pagina:Il buon cuore - Anno XIV, n. 47 - 20 novembre 1915.pdf/1

Da Wikisource.
Anno XIV. 20 Novembre 1915. Num. 47.


Giornale settimanale per le famiglie

IL BUON CUORE

Organo della SOCIETÀ AMICI DEL BENE

Bollettino dell’Associazione Nazionale per la difesa della fanciullezza abbandonata della Provvidenza Materna, della Provvidenza Baliatica e dell'Opera Pia Catena

E il tesor negato al fasto
Di superbe imbandigioni

Scorra amico all’umil tetto .....

ManzoniLa Risurrezione.

SI PUBBLICA A FAVORE DEI BENEFICATI della Società Amici del bene e dell'Asilo Convitto Infantile dei Ciechi
La nostra carità dev’essere un continuo beneficare, un beneficar tutti senza limite e senza eccezione.
RosminiOpere spirit., pag. 191.

Direzione ed Amministrazione presso la Tipografia Editrice L. F. COGLIATI, Corso Porta Romana, N. 17.




SOMMARIO:


Educazione ed Istruzione. —La nostra servitù intellettuale.
Religione. —Vangelo della seconda domenica d’Avvento.
La strage degl'innocenti (Poesia). — La divozione delle Ss. Quarant’ore in Duomo e nelle altre chiese della città. — L’orfano (Poesia). — Libriccino confortatore in tempo di guerra (continuazione v. n. 46). — Scuola Magistrale Catechistica femminile.
Beneficenza. —Per l’Asilo Infantile dei Ciechi Luigi Vitali.
Notiziario. —Necrologio settimanale. — Diario.

Educazione ed Istruzione


PER LA CULTURA NAZIONALE

La nostra servitù intellettuale



Una recente generosa polemica che fra molti studiosi si mantiene viva in difesa della nostra scuola nazionale, deve naturalmente richiamare l’attenzione del pubblico; poichè in Italia, più che ogni altra istituzione, si intese trasformare la scuola sotto la direttiva dei metodi tedeschi.

Or è bene, anzitutto considerare, che noi occupandoci della quistione della cultura specie secondaria, di quella cultura cioè che prepara e forma gli uomini avvenire e la coscienza, non intendiamo restringere la nostra disamina al fatto dello studio di questa o di quella lingua, dell’adozione di questa di quell’altra edizione dei testi classici latini, ma intendiamo guardare la quistione sotto un punto di vista più alto e più comprensivo, nel senso di vedere se, davvero, finora la nostra scuola abbia assolto il suo compito, e se, da essa sia uscito l’uomo, non cosmopolita, infarinato di tedescherie, ma l’italiano con salda e precisa coscienza della sua vita della sua missione. Poichè la scuola che si separa completamente dalla società è opera astratta, come tale nociva ai fini della vita, mentre essa altro non dovrebbe essere che la cosciente preparazione alla vita stessa, un istituto insomma, dal quale debbono uscire quei germi vitali e fecondi, che portino la prosperità ed il benessere alla nazione. Una scuola, anche dotta, piena di erudizione, focolaio inesauribile di discussioni e di critica, sarebbe, per dirla con Giulio Jamet, la potenza degli impotenti, perchè farebbe del cervello del giovane un casellario

immane, un magazzino di cognizioni, ma non ci darebbe l’uomo, e specie quello che noi vogliamo, l’italiano.

Fra le altre piaghe che la guerra ha mostrato, vi è questa della scuola di questa grande malata, intorno a cui da tempo giorno per giorno, si affollano i medici più illustri. Le ricette, i rimedi, gli specifici non si enumerano più. Sarebbe proprio il caso di ripetere, con l’imperatore Vespasiano, quando arrivò in fine di vita: «Signori, muoio pei molti medici». Ed in effetti, se riandiamo la storia delle riforme; che questa benedetta scuola secondaria dovette subire in tanti e tanti decenni, noi non abbiamo finora un criterio esatto di ciò che si è voluto fare. Si tentarono tutti i mezzi, si andò in cerca del nuovo, si distrusse quello che di buono c’era Stato nel passato, ed ogni ministro, ogni gruppo d’insegnamento pretese di possedere esso solo il monopolio della verità e di stabilire nel suo regolo tutta intera la vita della scuola, adattandola ad un metodo, ad una categoria, ad un sistema, che forse, per essere troppo sistema, era astrazione, e non rispondeva alla realtà, nè la realtà preparava.

L’uomo antico fu grande, perchè era stato l’uomo di un sol libro, e dette nella vita prova meravigliosa della sua energia intellettuale e morale, a cui non faceva difetto la fisica. L’uomo moderno ha dovuto essere l’enciclopedico, bisognoso di tutto; infarinato di tutto, costretto come ladro a percorrere territori e zone di scibile sconosciute, ma incalzato dalla fretta di far presto ed anche di far bene, pena la perdita dei diritti che lo Stato conferisce ai più, sgobboni. Così notava argutamente un giorno Pietro Ardito, per aver voluto fare degli enciclopedici a 15 anni, ne abbiamo fatto dei cretini a 30 e 40.

Ma, via, passiamo sopra queste malinconie. Certo si è, che, la scuola italica è terminata da un pezzo. L’antica scuola umanista, la quale in molti punti della penisola aveva brillato anco privatamente, ed era stata focolare di civiltà e di genialità, ora è completamente finita. Alla spontaneità del genio italico, alla perenne festosa giovinezza della vecchia scuola, successe la scuola del metodo tedesco, materiata di