Il buon cuore - Anno XIV, n. 47 - 20 novembre 1915/Educazione ed Istruzione

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Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XIV, n. 47 - 20 novembre 1915 Religione

[p. 321 modifica]Educazione ed Istruzione


PER LA CULTURA NAZIONALE

La nostra servitù intellettuale



Una recente generosa polemica che fra molti studiosi si mantiene viva in difesa della nostra scuola nazionale, deve naturalmente richiamare l’attenzione del pubblico; poichè in Italia, più che ogni altra istituzione, si intese trasformare la scuola sotto la direttiva dei metodi tedeschi.

Or è bene, anzitutto considerare, che noi occupandoci della quistione della cultura specie secondaria, di quella cultura cioè che prepara e forma gli uomini avvenire e la coscienza, non intendiamo restringere la nostra disamina al fatto dello studio di questa o di quella lingua, dell’adozione di questa di quell’altra edizione dei testi classici latini, ma intendiamo guardare la quistione sotto un punto di vista più alto e più comprensivo, nel senso di vedere se, davvero, finora la nostra scuola abbia assolto il suo compito, e se, da essa sia uscito l’uomo, non cosmopolita, infarinato di tedescherie, ma l’italiano con salda e precisa coscienza della sua vita della sua missione. Poichè la scuola che si separa completamente dalla società è opera astratta, come tale nociva ai fini della vita, mentre essa altro non dovrebbe essere che la cosciente preparazione alla vita stessa, un istituto insomma, dal quale debbono uscire quei germi vitali e fecondi, che portino la prosperità ed il benessere alla nazione. Una scuola, anche dotta, piena di erudizione, focolaio inesauribile di discussioni e di critica, sarebbe, per dirla con Giulio Jamet, la potenza degli impotenti, perchè farebbe del cervello del giovane un casellario

immane, un magazzino di cognizioni, ma non ci darebbe l’uomo, e specie quello che noi vogliamo, l’italiano.

Fra le altre piaghe che la guerra ha mostrato, vi è questa della scuola di questa grande malata, intorno a cui da tempo giorno per giorno, si affollano i medici più illustri. Le ricette, i rimedi, gli specifici non si enumerano più. Sarebbe proprio il caso di ripetere, con l’imperatore Vespasiano, quando arrivò in fine di vita: «Signori, muoio pei molti medici». Ed in effetti, se riandiamo la storia delle riforme; che questa benedetta scuola secondaria dovette subire in tanti e tanti decenni, noi non abbiamo finora un criterio esatto di ciò che si è voluto fare. Si tentarono tutti i mezzi, si andò in cerca del nuovo, si distrusse quello che di buono c’era Stato nel passato, ed ogni ministro, ogni gruppo d’insegnamento pretese di possedere esso solo il monopolio della verità e di stabilire nel suo regolo tutta intera la vita della scuola, adattandola ad un metodo, ad una categoria, ad un sistema, che forse, per essere troppo sistema, era astrazione, e non rispondeva alla realtà, nè la realtà preparava.

L’uomo antico fu grande, perchè era stato l’uomo di un sol libro, e dette nella vita prova meravigliosa della sua energia intellettuale e morale, a cui non faceva difetto la fisica. L’uomo moderno ha dovuto essere l’enciclopedico, bisognoso di tutto; infarinato di tutto, costretto come ladro a percorrere territori e zone di scibile sconosciute, ma incalzato dalla fretta di far presto ed anche di far bene, pena la perdita dei diritti che lo Stato conferisce ai più, sgobboni. Così notava argutamente un giorno Pietro Ardito, per aver voluto fare degli enciclopedici a 15 anni, ne abbiamo fatto dei cretini a 30 e 40.

Ma, via, passiamo sopra queste malinconie. Certo si è, che, la scuola italica è terminata da un pezzo. L’antica scuola umanista, la quale in molti punti della penisola aveva brillato anco privatamente, ed era stata focolare di civiltà e di genialità, ora è completamente finita. Alla spontaneità del genio italico, alla perenne festosa giovinezza della vecchia scuola, successe la scuola del metodo tedesco, materiata di [p. 322 modifica]pregiudizi, formata di tecnicismo, irregimentata nei sistemi e nelle regole, vita di formole che non ha e non può concedere alcuna libertà al giovane studioso. Sicchè, fondata sopra un falso vedere della nostra psicologia, incominciò a tralignare, a non dare alcun frutto, o così scarso, che tanto valeva il non averlo dato. Forse che di questo stato patologico uomini eminenti non ci avvertirono protestando? Ma non ostante le loro proteste, alla riforma, si chiarirono impotenti, e, senza riandare tanti dolorosi perchè di questa impotenza quello che importa di considerare è che essi furono in gran parte vittima, dato il pregiudizio che si era diffuso tra di noi. Certo, la nostra scuola si separò dalla vita. Corsero per due direttive opposte, senza che l’uomo si curasse dei diritti dell’altra. La vita era azione, moto, fervore di volontà, espansione di forza; la scuola, invece, stasi completa, fossilizzata nell’erudizione, nella ricerca se i capelli di Beatrice fossero stati bruni o biondi, ed in tutte le quisquille filologiche. Nessuna azione educativa in tanto lusso di materie. si partì dalla scuola, tanto che Io stesso De Sanctis, portò sulla nostra scuola questo preciso e severo giudizio: «Il tarlo che, secondo me, rode in generale tutta l’istruzione, e non solo la istruzione infantile e la istruzione elementare e le scuole normali, ma un poco le scuole secondarie e, permettetemi che io aggiunga, le scuole universitarie, è che noi non abbiamo capito ancora che cosa sia educare i giovani». Io non so se le cose nostre siano mutate dall’epoca in cui il De Sanctis "portava sulla scuola italiana questo severo giudizio fino ad oggi, (Scritti politici 1890, pag. 39) ma debbo credere che, non solo non è mutato, ma si è aggravato dippiù, se debbo ancora tener presente l’allarme, Qhe ogni tanto si solleva da persone di profonda cultura, e di spiriti coscienti e premurosi per la nostra gioventù. Oggi s’imputa all’infiltrazione dei metodi tedeschi la rovina della nostra scuola. In qu.esta affermazione vi è molta parte di vero, ma non è tutta la verità. Non vogliamo attribuire all’azione degli altri, la deficienza nostra, e la nostra incuria. Il male che oggidì tutti deploriamo a me pare si fondi in questo che noi, infiltrati del metodo tedesco, abbiamo voluto imporre alla nostra scuola, quel metodo istesso, il quale non corrispondeva nè al nostro genio inè alla nostra; tradizione.. E’ risaputo che la scuola secondaria, proprio per la sua finalità, è quasi una preparazione generale alla vita, e che il suo ufficio educativo e pedagogico in altro non dovrebbe consistere che, nel ricostruire in sintesi potente, in forza dinamica, in unità psicologica tutte le forze intellettive e morali dell’individuo, dandogli una direttiva costante, certa e salda nelle lotte della vita. Or bene, questo lavoro, ch’è in sostanza un lavoro di genio e d’intuizione, da noi non fu compreso. Noi non abbiamo considerato lo spirito del giovane, come una forza; una energia vi vente, alla quale la scuola altro non avrebbe dovuto dare che i mezzi, per sviluppare tutte le sue Forze sopite e riposte; noi invece, sulla falsariga tedesca, l’abbiamo considerato come una tabula rasa, come una semplice macchina, che noi potevamo a nostro agio costruire, far funzionare, mettere in moto, con la precisione meccanica di un orologio. E ci siamo infatuati in questo concerto, fino al segno, di credere l’ingegno del giovane una potenza neutra indifferente per ogni specie di studi, priva di genialità, d’inclinazioni, di tendenze, atta, insomma, ad assorbire ed a. ritenere tutto quanto abbiamo creduto fosse necessario acciò la macchina corrispondesse alle intenzioni dell’artista. Messi oramai su-- questa china, chi potè più trattenerci? Il moto divenne travolgente Oggi s’imponeva il latino, domani la matematica, più tardi le scienze naturali, poi niente filosofia ch’è dannosa, poco greco perchè inutile, poco italiano perchè manca il tempo. In questa ridda vertiginosa il povero gioyane più stordito che convinto, divenne la vittima del meccanismo.. La ruota doveva girare, con una fatalità necessaria, e chi se ne lamentava, s’intendeva, non atto agli studi. Lo studio non fu adunque coscienza, cioè saper di sapere, ma saper di sgobbare per superare l’esame, strappare` un titolo, ed uscire dall’incubo. Così avvenne poi il disamore alla scuola. I rimedi? Molti, e se ne escogitano ancora, e chissà quando il gran consulto medico sarà finito. Speriamo che la scuola vorrà vivere fino a quel tempo! Or bene, senza voler fare della m.etafisica e molto meno della dottrina, la salvezza della nostra scuola,dipende, a mio parere, dal guardare il fondo naturale delle cose, ed armonizzarla con esse. Nessuna cosa, nessuna istituzione può prosperare rigogliosa e felice, se è divelta dal suo fondamento naturale, sul fondamento che natura pone, come diceva il nostro Alighieri; base pratica, concreta, sulla quale la coscienza si sviluppa, e si forma la storia. Ora, la natura da noi fu svisata, o meglio fu forzata, e quindi incompresa e martoriata. E il iondamento naturale è appunto l’intima essenza, la forma, come dicevano gli scolastici, del nostro spirito, e si chiama genio di un popolo. Da ciò nasce, che, l’italiano avrebbe dovuto essere educato secondo il genio della sua razza — genio latino che ha dello spirito, della natura e della storia, e quindi della vita una concezione identica- e diversa, di quella che possiede il francese, l’americano, il tedesco. — Una differenza specifica, ch’è la qualifica del nostro carattere. L’educatore italiano aveva ed ha sotto mano fanciulli e giovani italiani, non tede- schi, nè russi, figliuoli- nati sull’Arno, lungo le rive del Tirreno, o sotto l’Etna ardente. Di questo dato psicologico finora non si è tenuto nessun conto, ma invece si è ragionato, così:’ visto e considerato che, il metodo tedesco aveva educato bene i tedeschi (e ne vediamo la prova negli effetti’ ) esso, doveva [p. 323 modifica]educare bene gl’italiani, i quali pur non essendo tedeschi, nell’imitarli avrebbero potuto diventare simili a loro. Il metodo, la via, era tracciata. Il sillogismo, è Nero; zoppicava, perchè da una premessa particolare, almeno. secondo i nostri maestri di logica, gli scolastici, non si cavano mai conseguenze universali. Ma la nostra epoca non t:davvero la trionfatrice della logica, ed il metodo fu applicato, una specie di camicia di forza, che ora tutti cerchiamo non di levarcela intera, perchè,ci manca la forza, la preparazione e l’ardire, ma di renderla più leggera, più adatta al nostro corpo per farci respirare un poco, e non crepare di asfissia; perchè in effetti i tedeschi, prima d’inventare i gaz asfissianti, inventarono il loro metodo, col quale metodicamente si proposero di distruggere gli altri e sè stessi ancora. Così la nostra szhiavitù intellettuale fu stabilita,.la più balorda delle servitù; e noi siamo addivenuti una provincia intellethiale della Kultur germanica, nè più nè meno come una volta eravamo stati una provincia francese sotto il signor di Voltaire. LIBERO MAIOLI.