Pagina:Il canapajo di Girolamo Baruffaldi, Bologna 1741.djvu/106

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L’un presso l’altro sotto l’acque sempre:
Se tra le stanghe sia la sua prigione,
Lasciali, che abbastanza an sicurezza,
Sol che legno simil lor sovrapponghi,
Che di questo tal carcer’ è il più fermo,
Il più sicuro ermetico suggello:
Ma se libero è ’l guado, e tu comincia
I fasci a por da un angol de la fossa;
E siegui fin che sien scarchi i tuoi carri,
Sempre vicin l’un l’altro seppellendo.
Poi pianta ai fianchi lor pertiche e legni,
Che incrocicchiati, e ben di vinco stretti,
Per lo disopra in quel patibol leghino
Tutta la merce tua, fin che sia frolla;
E se temi che possa a galla alzarsi,
E tu l’aggrava con mattoni, o sassi,
Come poch’anzi dal mio canto udisti.
Tolto da la tua vista il tuo tesoro,
Sepolto in quella putrida palude
Non si tolga però di tua memoria.
Fiso in tua mente ti rimanga il giorno
Che ’l deponesti, e sebben tu ti scosti,
Manda spesso il pensiero a quella cava;
O se puoi, vanne tu; tu stesso vanne,
E questa legge, ch’io t’impongo, adempi.
Se per vento, o per pioggia, o per burrasca,
(Che spesso avvenir suole) il tempo estivo
Frenerà ’l suo calor, sicchè rinfreschi
L’aria, e prenda d’autun faccia la state;
L’acqua allor di tua fossa, anch’essa fredda,
Non avrà più quella virtù sì attiva,
Nè tanto acume in se stessa, che vaglia
Sì presto a separar dai cannerelli