Pagina:Il canapajo di Girolamo Baruffaldi, Bologna 1741.djvu/111

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E ne l’acqua scotendola a man larga
Tre volte, e nulla più, finchè penetri,
E ’l loto lavi, e ’l sudiciume, e tutto
Ciò, che di strano si sarà frapposto:
E se non più, qui non v’è alcun mistero,
Ma così vuol la sperienza antica,
Per conservar del tiglio l’orditura
Ne l’esser suo ben districata e sciolta,
Che una rete non formi, avviluppando
Tutte le fila insieme, onde più stoppa
Se ne ricavi poi, che buona merce.
Che se macero ben non sembra il tiglio,
Scuotilo cinque, o sei, e più fiate,
Che a la fin cederà, voglia, o non voglia.
Così tal volta, se l’ingegno umano
Tarda a produr ciò che ’l comun desio,
O la speranza avidamente aspetta,
Non è già, che non voglia: è che non puote,
Perchè non anco ben maturo è ’l frutto.
Pur l’arte può dove mancò natura.
Vorrresti tu, che ai primi dì sapesse
Un pargoletto articolar parola?
Vorresti tu, che donna, benchè illustre,
Ma di natura a le scienze inetta,
Speculando, a saper cose giugnesse,
Tutte sovra natura eccelse e nuove,
E a favellar in libero idioma
Ciò ch’altri adulto a compitar fatica?
Fa, che s’avvezzi l’uno, e l’altro sotto
Frequente magistral voce, che tuoni,
Nè cessi mai, fin che la spessa goccia,
Battendo, e ribattendo ogni momento,
Quel macigno ne infranga, che gli tura