Pagina:Il canapajo di Girolamo Baruffaldi, Bologna 1741.djvu/115

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E ad ogni tanto porteranle in mezzo
A la verde, vicina, ampla pianura,
Dove diritte in piè, tutte staransi
Con a terra ’l pedale alquanto aperto,
E pire militari in guisa appunto
Di padiglioni, o tende, ne faranno.
Nol tel diss’io, ch’è una milizia vera
L’arte di far la canape a la villa?
Ma qui neppure ha fine il suo ritratto.
Una battaglia ruinosa ancora
Resta per darle l’ultima giornata.
L’aria cocente, e ’l sol de la stagione,
Se per tre giorni luminoso dura,
Farà che bianca, e che rimanga asciutta
La scorza, il cannarello, il piè, la vetta;
Sicchè tu nuovamente rilegando
Di vinci i fasci li rimetta in carro,
Ed a le case tue li riconduca,
Ovunque più ti giova riponendoli,
Fin che ’l tempo rivegna, che col legno
Tu lor ripurghi i vestimenti e l’ossa.
La fretta più non ti tormenti, o ’l dubbio
De l’incostante, o qual si sia stagione.
Ciò che ti resta far, non ha nè giorno,
Nè prefissa ora; quando puoi, farailo,
E quando tal numer di man’ sia teco,
Che basti a l’uopo; se fanciulle avrai,
O se spose gagliarde, i giovinotti
Robusti, credil pur, non mancheranno,
Che al flagel de la canape ad ogni ora
Invitin la tua mano: è quel lavoro
Scuola d’amore, se nol sai, per essi;