Pagina:Il canapajo di Girolamo Baruffaldi, Bologna 1741.djvu/49

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Vesti, monili, e ’l mondo muliebre;
Tal far dovrai tu, che ’l tuo campo amando,
Al desiato tempo il frutto aspetti.
Son questi arredi un certo fior di fime,
Ch’io t’accennaj, ma non quanto già merta;
E per far che la tua canapa in candore
Ogni altra, e in peso, e in abbondanza vinca,
E’ una miniera, credilo, un tesoro;
E pur deriva da sì vil radice.
Perchè ’l colombo dentro ’l suo corbaccio
Depor la suole, colombina è detta;
E com’è d’un augel tutto amoroso,
Ma temprato così, ch’anco è piacente;
Quel foco, che in se nutre, è dolce fatto
Dal dolce viver suo, ch’è tutto amore.
Inviscerato poi quest’escremento
Nel coltivato ventre de la terra,
Amor, che da amor vien, cava e produce,
E tutta immantinente la riscalda
Di prolifica voglia, e l’innamora.
Tal puledrotto, se di paglie sole,
O di gramigna d’ordinario pasce,
Vive sì quanto può sano e robusto,
E ben si regge a le fatiche usate:
Ma se lungo viaggio gli prepari,
E seco vuoi caracollare in lizza,
Biada gagliarda, e di sostanza piena
Conviensi, e non già più campestre fieno,
Onde spirto e vigor tosto ripigli.
Così la terra è terra: arida nata,
E di ciò che dà il ciel vive, e germoglia;
Ma se zolfo, o miniera in lei non passa,
Ingigantir mai non vedrai le piante: