Pagina:Il canapajo di Girolamo Baruffaldi, Bologna 1741.djvu/54

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L’uno (ed è quello in sua virtù perfetto,
Che de la buona canape è radice)
E’ rotondetto, come coriandro,
Di nericcio color pesante e grosso:
L’altro è assai più minuto: ed è rossigno,
Nè rotondo così, ma quasi ovale,
E di cuspide armato in un de’ capi:
E questa, se nol sai, questa, ella è appunto
Del canapino seme la zizzania,
Che l’imperito agricoltore inganna.
Agostina s’appella, perchè appunto,
Quantunque seminata a un tempo stesso
Col miglior seme eletto, e più pregiato,
In Agosto matura, anzi talvolta
In Luglio ancora, e la stagion previene:
Ma pigmea di statura, e lieve, e corta,
E d’infelice appariscenza a l’occhio.
Il buon coltivator, che la conosce,
La recide ben tosto, e dàlla al foco
Questa peste del campo, che orgogliosa
La gigantessa canape reina,
Fuor di stagion, vitupera, e avvilisce.
Qui nei colti però campi centesi,
Dove ogni villanel dritto discerne,
E in coltivar la canape ha buon naso,
O non alligna, o rado almen germoglia;
Nè in conto s’ha, che di selvaggio arbusto.
Come un tal seme in queste parti giunga,
Qualche infelice comprator ben sallo,
Quando ai mercati il venditor deluso,
Per penuria di seme, altrui lo vende,
E rifà in piazza la commedia antica,
Che due figli suppose, uno per l’altro.