Pagina:Il canapajo di Girolamo Baruffaldi, Bologna 1741.djvu/60

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Risponderà, ridendo, in cotal metro.
“Vattene a Cento, a Pieve, e dove vuoi,
“E vendi scheggie, e ’l diavol, che t’appicchi:
“Cavane pur danaro quanto puoi,
“Vo’ che nel fabriano te lo ficchi:
“Nulla vogl’io da te, nulla da’ tuoi;
“Non occor, che ’l cervello ti lambicchi:
“Chi l’altrui, senza merito, si prende,
“Perdendo libertà se stesso vende.
Le strida in questo dir rialzeransi,
Come l’alzano l’oche ad ali aperte,
E s’udiran le sgangherate risa
Tutta l’aria intonar fin da lontano,
Sicchè la voce, e l’eco ne rimbombi
A destar chi lavora in altro campo.
Il caporale allor, stanco le braccia,
Tutti chiami a merenda, e un’insalata
Di cipollette e d’agli con lattuca,
Da la gastalda in pria già preparata,
La vivanda comun sia per quel tempo,
Che dal lungo sudor tutti ristauri;
Ma più ch’altro, vi sia la corpacciuta
Bottaccia colma d’ottimo falerno.
Questa è la cinosura , a cui si guarda
Da chi suda e fatica, e questa infonde
Virtù, e valore da finir la guerra;
E rallegra gli spirti in gozzoviglia,
Tal che brindisi nascono improvvisi,
E l’amor si riscalda, e l’amicizia.
Abbia fin la merenda, e sia ’l suo tempo
Quanto non scemi l’opra a chi la paga
Col diurno denaro, e la vuol piena:
Ond’esser de’ sollecita la turba
A rialzarsi da l’erboso desco,