Pagina:Il canapajo di Girolamo Baruffaldi, Bologna 1741.djvu/64

Da Wikisource.

Ciò che fin’ora in questi carmi udisti,
In quello stil più semplice e più incolto,
Che al villereccio intendere s’adatta;
Tutto sarà ciò che di studio e d’opra
Usar dovrai per seminar la tanto
Accreditata canape centese:
E ne son testimonio gli occhj miei,
Quest’oggi appunto, che per sorte corre
“ Quel gran giorno , che al sol si scoloraro,
“Per la pietà del suo Fattore i rai;
Quarto giorno d’April, correndo intanto
D’anni trentotto il secol diciottesmo;
Ch’io dopo i sagri tenebrosi uffizj,
Su l’ora, quando il sol piega a l’occaso,
Al vicino Penzal, dove ha il mio Biagio,
Fra gli altri, un ubertoso campicello,
Portaimi a contemplar la rustic’opra,
Intorno a cui la gente mia sudava,
Me di speranza empiendo, ed il mio gregge,
Cui del raccolto poi frutto fo parte.
Ivi conobbi il necessario, pingue
Alimento com’abbia il pregio tutto,
E in questo faticar sia ’l primo scopo.
Anzi ’l mio socio, satrapo primario
Del Comun di Campagna, una finezza,
Per rara cortesia, mi discoperse.
Io, diss’ei, che di far pingue l’erario
Del mio padron studio più assai che ’l mio,
(Salvo a la verità sempre ’l suo dritto)
Un’arte in seminar novella adopro.
Nel tempo stesso, ch’io col seme in pugno
Il preparato campo vo’ coprendo,
Già bisulcato, e pingue di buon fime,