Pagina:Il canapajo di Girolamo Baruffaldi, Bologna 1741.djvu/66

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Fino al suo primo germinar, non passano,
Che pochi giri del diurno sole;
E già la vedi fuori de la buccia
La superficie romper de la terra,
Prima di quante già nel nudo suolo
Mal nutricato e vil si seppelliro.
Io pendea da’ suoi detti a bocca aperta;
Ma con fermo pensier di non prestargli
Credenza alcuna, e fra me stesso dissi:
Se il ver costui mi narra, io son felice:
Forse meglio starò nel campo mio,
Che se Palladio, Columella, e Varro,
O ’l Crescenzio, o l’economo Tanara,
Già laureati ne l’agricoltura,
Per reggitori del mio campo avessi:
Se non che, come spesso il poco nuoce,
Così ’l soverchio spesso l’opra guasta.
Guardati da chi largo ti promette.
Visto ho sovente, che ’l sentiero antico
E’ più fedele de la via novella.
Bastar mi può quanto a sperar son uso,
E nulla più: se uno sperare onesto
Fallisce, moderata anco è la doglia;
Ma se la speme al sommo mi trasporta,
E poi m’inganni, anche il dolore è sommo.
Io non vorrei che m’avvenisse il caso
Del can d’Esopo. Era la carne in acqua
Dipinta tanto ben, che parea grande,
E per virtù del trasparente umore,
Il boccon più massiccio a lui parea
Di quel, che già tenea stretto fra i denti.
Però questa lasciò piombar là giuso,
Con speme d’incontrar sorte migliore.