Pagina:Il canapajo di Girolamo Baruffaldi, Bologna 1741.djvu/73

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Ma di strane sembianze, e non amiche,
Rifiorir vedi, e tu ripiglia ’l ferro,
E a rinnovar comincia la battaglia
Con maggior lena, sì che ne ripurghi
L’infetto campo; ma ti guarda sempre
Di non scalfir l’anche immaturo tiglio:
Nè una fiata sola in questo campo,
Ma due, ma più, più volte a l’arme stesse
Porrai la mano, ed allor più che nuovo
Sia ’l canapajo, e a tal seme non uso.
Tanto arroncherai tu, tanto farai,
Che la superbia umiliata al fine
Vedrai de l’erbe, e più non nasceranno;
O se qualche radice sì orgogliosa
Sarà, che rialzar osi una fronda,
Meschina languirà, nè più avrà forza;
Che intanto il canapino arbusto adulto,
Più timor non avrà del teso laccio,
E riderà, com’Ercol de’ Pigmei.
Grandicella così fatta la nostra
Canape, il tuo sarchiar più non le giova.
Lasciala pure che con la temperanza
De le stagioni alzi se stessa fino
A la statura sua, ch’è piucchè umana,
Quando la terra diale l’alimento,
Giusta ’l governo che fin or cantai:
O quando ’l flagellar d’impetuosa
Grandine non l’abbatta, o la depredi,
Dal che benigno sempre ’l ciel ti guardi;
Grandicella così (torno a ridire)
Fatta la tua piantuccia, e bambolina
Non più, ma fanciulletta ardimentosa,
Vedraila ad ogni vento andar piegando,