Pagina:Il canapajo di Girolamo Baruffaldi, Bologna 1741.djvu/74

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E ogni dì nuovi metter ornamenti,
Tanto che poi fatta più adulta, un giorno
Verrà, che di pigmea sarà colosso.
Dritto alzerassi, come canna, il fusto,
D’angoli quadri, ottusi, e vuoto affatto,
Nè avrà mai più d’un gambo ogni radice:
Che al ver già non attiensi, chi la crede
Feconda sì, che dal suo imo fondo
Più sorcoli tramandi, e s’imboschisca.
Ben parrà che ciò sia per la soverchia
Vicinanza talor de’ sorgoletti,
Ma non sarà: sarà perchè un granello
Di seme cadde a l’altro in vicinanza,
E però nacque ove cadeo per sorte,
O la marra ’l gittò quando colpillo.
Varrone, e ’l suo seguace Columella
Vuol che un piè quadro di terren sia solo
Da sei grani di canape investito;
Ma la madre maestra esperienza
Altri quattro n’aggiunge, e sen compiace,
E forse più; che legge non può darsi
A una libera man seminatrice.
Altrove rada, altrove spessa nasce,
Ma non così che folto macchion sembri,
Dove pulita, e dove ramoruta;
E quella che per l’ombra non arriva
A la misura consueta, stassi,
E così fa, qualunque sia, ’l suo frutto.
Così crescendo, avanzeransi ancora
I mesi, e da l’April verrassi a Luglio,
Anzi al mese Sestile, e allor dirassi:
Fin qua, e non più cresce la pianta verde,
E mette allora la sua ferma vetta,