Pagina:Il cavallarizzo.djvu/10

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PROEMIO

ceri, & sapienti. Non mi sono curato ancora in partorirla à guisa d’orsa, che leccando ridduce il parto à perfetta forma, ne mi sono affaticato in tritarla così pel minuto, & tesserla cosi per lo sottile come fanno molti, sapend’io bene, che Palade fu sempre nemica di chi tesse di fila sì sottili la sua tela, come di arragne. Nè ho fatto molta stima del consiglio di Platone nelle sue leggi, benche divine; nè di Quintiliano, nè di Horatio circa quel che vogliano da chi vuol mettersi al sindicato col dar fuora i frutti dell’intelletto. Ma istimando poco il biasimo, che per questo d’ignorantia me ne havrebbe possuto avenire, à rispetto dell’utile, ch’io possevo fare, & del resto che pur hora da noi è stato detto, senza aspettar, che siano più maturi i frutti di questo mio giardino, senza più dico voler limare questa mia opera, m’è parso di darla fuora. Volendo anco in questo esser più tosto biasimato da molti dotti, per poco accorto, & considerato, che da molti amici, che à ciò fare m’hanno spinto, & pregato,esser tenuto mal amorevole, tenendo io per fermo, che se li miei riprensori havranno punto di gusto mal sano, non gli dispiacerà l’acerbo d’essa, ma s’eglino havranno qualche poco di stimolo di giovar al publico, daran’anc’essi fuor alcun’opera del medesimo soggetto, la quale possa, & debbi maturare, & emendare il fallo di questa mia. Per la qual cosa io verrò in ogni guisa ad ottenerne l’intento mio, che è di giovar al publico; havendoli io incitati à far quello, che per aventura fatto non havrebbono, quando quest’opra stata non fusse. Et da qui vedrassi poi se le lor lingue saranno migliori a i fatti che alle parole, & color che riprendono, de i ripresi. Resta ch’io hora risponda à quelli che non per detraere à quel ch’io scrivo, ma perche sanno, & desiderano di sapere, diranno me haver vestito il libro di veste altrui, e dico che non è male facendosi commoda, & attamente. Anzi di ciò mi lodo, & ciò che sappino per esser grato à chi si deve, che nello scrivere di quest’opera mi sono servito d’Aristotile, di Plinio, di Senofonte, di Lorenzo Roscio, anzi d’un originale, dal quale ciò che di buono scrisse, tolse sue. Ho cavato ancora da Pietro Crescentio, da Alberto Magno, da Columella, da Varrone, da Palladio, da Nemesiano, da Plutarco, da Horatio, da Virgilio, & da molt’altri, che lungo sarebbe il raccontarli, & nel successo del libro chiaramente si potrà vedere. Nè perch’io mi sia servito di sì preclari auttori, deggio essere ripreso, se prima i riprensori non riprendino? & Senofonte, che quel di Simone Ateniese