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- a. L’intelligenza collettiva1 o saggezza della folla: consiste nel mettere a frutto la conoscenza dei gruppi, in quanto superiore alla conoscenza dei singoli;
- b. Crowd-creation: utilizza non solo la conoscenza, ma anche l’energia creativa della folla per lo svolgimento di attività;
- c. Crowd-voting: adopera le scelte e i giudizi della folla per organizzare le informazioni (l’esempio più noto è Google);
- d. Crowd-funding: permette ai gruppi di raccogliere auto-finanziamenti.
L’autore sottolinea che spesso i progetti più fortunati sono una combinazione di questi
approcci.
Anche Henry Jenkins definisce diverse modalità di cultura partecipativa:
- a. Affiliation: creazione di comunità, formali e informali, accentrate intorno a diverse forme di media (per esempio Facebook);
- b. Expression: produzione collettiva di contenuti e nuove forme creative;
- c. Collaborative problem-solving: lavoro di gruppo allo scopo di portare a termine
obiettivi e sviluppare la conoscenza (per esempio Wikipedia);
- d. Circulation: dare valore al flusso dei media, come nel caso dei blog.
In realtà nelle definizioni degli autori non è chiaro quali siano i limiti di ciò che è
definibile come crowdsourcing. Alcuni considerano crowdsourcing anche tutte quelle
azioni che semplicemente producono diffusione di progetti altrui. Un like su Facebook o
Friendfeed, o un retweet su Twitter creano un output di visibilità. La visibilità permette
condivisione della creatività e concorre alla creazione di un’agenda sociale del sapere.
La folla, diffondendo prodotti che reputa meritevoli, crea un ulteriore valore aggiunto
per quei prodotti.
Lo stesso Google è considerato da Howe un prodotto creato dalla saggezza della folla,
in quanto i risultati di ricerca sono selezionati e ordinati anche in base al numero di
visite ricevute da un sito. Yochai Benkler, in riferimento a Google, sottolinea come la
“somma degli effetti delle azioni individuali, anche quando non consapevolmente
- ↑ L’intelligenza collettiva, termine coniato da Pierre Lèvy, è la capacità delle comunità virtuali di utilizzare la competenza combinata dei loro membri; l’organizzazione dei pubblici in quelle che Lèvy chiama comunità di sapere consente loro di esercitare un potere aggregato maggiore (Jenkins, 2006, 3).