Pagina:Il diamante di Paolino.djvu/8

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corrente in qualsiasi libro. La mamma di Paolino che adorava il suo ultimo rampollo, non badò a sacrifizi per istruirlo come si conveniva, e i polli, le bocce dell’olio, e le dozzine d’uova erano sempre in processione dalla casa Delbosco alla Canonica. La Canonica però non se ne stava e in uno slancio di riconoscenza giunse perfino a dar qualche lezione di latino al docile quanto liberale scolaretto. La mamma era al quinto cielo e già vagheggiava pel figliolo adorato la toga del notaro o la nera sottana del prete. Sogni vani quanto imprudenti.

Una sera in cui Paolo aveva portato a casa un attestato di lode, scritto a stampatello, con la firma del pievano tutta a svolazzi, il babbo Delbosco disse con un tono che non ammetteva discussioni:

— Ora basta. Paolo ne sa abbastanza e smetterà di frequentare la scuola. Io son contento di vederlo così istruito nel leggere, nello scrivere e nel far di conto; ma egli ne sa più di quel che non ne sappia io che ho cinquantanni, suonati da un pezzo; io non voglio far di lui un signorino in lenti e guanti di pelle, mentre i suoi fratelli zappano la terra e piantano le viti. Noi siamo contadini di padre in figlio; tutti gente rozza, ma onesta e dabbene... Dunque il ragazzo sarà vignaiolo come noi, e cominciando da domani seguirà i suoi fratelli nel podere.

La povera madre, nell’udire una simile sentenza, si sentì stringere il cuore; ma avvezza a venerare nel suo uomo la rettitudine de’ principî e la bontà del consiglio, capì che aveva ragione e abbassò il capo, muta e rassegnata.

— D’altra parte, pensò, se il mio Paolino è destinato a diventar qualche cosa di grosso, il buon Dio gli aprirà una strada. Non l’aprì, forse, a quel pecoraio del Mugello e a quell’altro povero diavolo che s’arrampicava