Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
Cesar Sacro egli è morto il Duca fido
Del qual il pregio, e ’l grado del honore
In eterno vivra nel comun grido,
E benche non convenga à real core
Ne gli irremediabili accidenti
Di rivolger la mente nel dolore,
Saria bel vanto il mostrare à le genti
Con l’oscuro del habito, è col pianto
Come vi dolgon gli huomini eccellenti,
Il vestire per lui, lugubre manto,
E ’l lagrimar di lui, che n’è pur degnio,
Al mondo vi faria grato altretanto,
Ch’oltre ch’egli era di Marte l’ingegnio,
De la militia sua gli occhi, è le braccia,
De l’armi, è de gli esserciti sostegnio,
Oltre che raro è quel, che dica, è faccia
Cio che dire, è far diesi, onde risponda
La mano al piede, è l’animo a la faccia.
Fede non fu giamai tanto profonda,
Ne valor, che spiegato habbia piu l’ale
A la steril fortuna, à la seconda.
Divin consiglio, è fortezza fatale,
Maniere tolte à le virtu superne
In servigio di voi lo fecer tale.
Non si accendono in Ciel tante lucerne,
Quante opre degnie di statua, & d’historia
Nota il secol di lui con lodi eterne.
L’alto intelletto de la gran memoria
Solo ha discorsa, antevista, è compresa
L’arte del cui sudor nacque la gloria.
Anima non fu mai cotanto accesa
Di zelo militar, di vigor puro,
Ne piu spregiante ogni tremenda impresa.