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le miscela di angoscia e di ebbrezza, dalla quale doveva staccarsi, trionfante e fatale, l’eroismo virile.
Il martedì, dopo colazione, Franco uscì di casa per fare un’ultima spesa prima di partire. Sulla soglia, Maura lo trasse a sè d’improvviso e lo baciò lungamente con una strana veemenza.
Era appena sulla strada, quando dalla finestra la voce di Maura lo colpì come una sassata.
— Franco! Franco! vieni sù presto!
Si volse in sù, la vide stravolta, pallidissima. Intuendo qualche cosa di grave, risalì le scale, di corsa entrò nella camera di Maura, e la trovò che si dibatteva sopra una poltrona, convulsa, con un fazzoletto premuto sulle labbra.
Quando lo vide, staccò il fazzoletto, e singhiozzò:
— Addio! addio! è finita.... me ne vado...
Dalle labbra gorgogliò una specie di bava violetta, Franco capì fulmineamente. Del veleno!
Con violenza, senza parlare, la strappò dalla poltrona, la costrinse a piegare la testa, le cacciò in gola due dita, e le agitò nella strozza. Un fiotto di liquido denso e schiumoso, accompagnato dal noto rigurgito gutturale, sboccò da quella gola, chiazzando il pavimen-