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— Va bene, signor Capitano. Ha altri comandi?
— No, grazie. Venga poi a riferirmi l'esito della sua esplorazione.
Franco salutò ed uscì dal baracchino, con un brivido di soddisfazione.
Era finalmente l'avventura rischiosa, che gli veniva offerta, l'impresa individuale, nella quale il suo istinto avrebbe sperimentato i giochi della sorte e del coraggio.
Alle 9 precise, uscì dalla linea, a fianco del sergente e del caporale, col fucile a tracolla sulle spalle, le giberne piene di caricatori, il tascapane di «thévénot», il cuore gonfio di ansia e teso in avanti.
La notte era calma. Una notte lunare, navigata da flottiglie di nuvole chiare, che spalmavano il cielo con larghi movimenti avvolgitori. La luna, nel mezzo, sorrideva sedotta.
Dalla linea nemica non s'alzavano i soliti razzi illuminanti. Dalla nostra partiva qualche colpo di fucile, rarissimo, stanco, quasi a ricordare che si vegliava.
L'aria era calda, quasi afosa, quasi temporalesca. La fine d'Ottobre regalava quell'atmosfera di confidenza autunnale in cui si poteva disfarsi della mantellina e guardare la luna sorridendo.
Il sergente cominciò a bestemmiare.
— Can da l'ostrega d'una luna! Se seguita