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SCENA QV I N T A . nr si quefio rogo di Ciprejfi,e Palme ; Perche nel terzo giorno Rine/chi al Ciel di più bellezze adorno Che/arem noi.per comperare in pane Tanto pefo d’Amor ? ritintici teca Tra Ulne fiamme', e fi none capaci Vi tanto incendio il cor,refiiam coutenti Incenerirci teco,e forgerpoi Tra quei carbonifltffi Con maggior for\a àgli amorofì ecceffi, il, A"l'amato dtfcepolo,& amante, Conuengon, Signor mio, quejlt difeorfe.
Ma à PietroJconofcenie altri penfieri Uafcon dal me fio, e innartdtto cuore.
Mentre lì, mentre mi contemplo ahi parmi Vedere al morto il fuo homicida à fronte; Ch’io t’vceifi, Signor,con la mia lingua, Pria che ventfft ad ifuenarti il ferro .
Non li ccnofco,dtffi, e fui pergiuro'.
Ade fio è ver, ch’io non ti riconofco; Perche dal tuo fimitante ahimè pur troppa Mutato fei : (on qutjle quelle pianti Sotto di cui vidi adofiarfi il mate ?' l'quefl a quella man, chimi foffenni Tra li temperie,e dal morir mi trafie: Que/i’ì quel uolio,ou’to dipintoti Sole Vn giorno vidi: e doue fon leneui Ve le candide uefii? ou’l'l concento Ve la paterna voce ? ou’ì la nuble, Che'l bel luogo ccpria con fregi d’oro t §lueH’ì Mosi ? Qutfi'ì’l zelante Heliat Che fautUan d'eccejfoì e qui l'ecceffo Compito hai btn con due ladroni à canta, F 4 Wf»
