Pagina:Il mortorio di Christo.djvu/239

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■ Iti 3J4 ATTOQVINTO.

Ma pur itrniamo à ritentar l'ifiefio; Perche trai no/lro favellare, il core litfpiri alquanto, è fi Umetta almin»

~~ Il materno (enfitr dal fuo dolore.

Mtr. Ahi chetici vofiro dir non trouan fue Le mie querele,e s'vn momento tl cere Suólgo dal fuo penfifr tenace,e ferie } Co» impeto maggior lofio vi torna, I più che pria vis auuiluppa, e interna.

Com'ilferrelro,ou'h*bbta Indica pietra.

L’occulta fua virtù co'l latto imprefia , Sempre rimira il Poloj efefi torce Perefirema violenza in altra parte , Non sa fermar fi,e tanto gira attorno, Mentre ritroua il punto,onde fù mejft.

Ma ohimè, che pace ne l'immobil fegno Trc.ua la calamita: ma’l mio core Nè tliner può, nè rtpofare vn punto Lungi da la mia fida T rarr.ontana ; Nè,fc vi volgo i lagrima fi lumi, Trouo calma,ò rtpofo, anzi raccoglio Al mio agguato legno Da le più amiche filile Maggior Upefia ogn'hor, maggior procelle.

Mad. Veggio venir da la Città crudele Numero/o drapel chi finn cofi oro.

Mio denoto G’.ofeppe? ahimè,eh' vn eor* Defperato non penfa altro, che danno.

Ma. E vengon verfo noi? non ben dif cerno, Che gli occhi miei fon ecch/fati al pianta.

Non vi turbate, cheptelofi amici Vengono à di [chic dar quel fanto corpo.

Giof. lo vado ad incontrarli -, e voi fra tanto