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se imagino che potrei udire altre parole, altre parole ancora?

Un verso di Guglielmo Shakespeare, nel As you like it:


Who ever lov’d, that lov’d not at first sight?


Notte. ― I moti del mio spirito prendono forma d’interrogazioni, di enigmi. Io interrogo di continuo me stessa e non rispondo mai. Non ho avuto il coraggio di guardar proprio in fondo, di conoscere con esattezza il mio stato, di prendere una risoluzione veramente forte e leale. Io sono pusillanime, io sono vile; ho paura del dolore, voglio soffrire il meno possibile; voglio ancora ondeggiare, temporeggiare, palliare, salvarmi con sotterfugi, nascondermi, invece d’affrontare a viso aperto la battaglia decisiva.

Il fatto è questo: che io temo di rimaner sola con lui, d’aver con lui un colloquio grave, e che la mia vita qui è ridotta una continuazione di piccole astuzie, di piccoli ripieghi, di piccoli pretesti per evitare la sua compagnia. L’artificio è indegno di me. O voglio assolutamente rinunziare a questo amore; ed egli udrà la mia parola triste ma ferma. O voglio accettarlo, nella sua purità; ed egli avrà il mio consenso spirituale.

Ora, io mi domando: ― Che voglio? Quale scelgo delle due vie? Rinunziare? Accettare?

Mio Dio, mio Dio, rispondete voi per me, illuminatemi voi!

Rinunziare è omai come strappar con le mie unghie una parte viva del mio cuore. L’ango-