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che comprendeva le malinconie della fanciulla indefinite e fugaci? Rivedrò inchinarsi verso di me, in atto di misericordia e di compatimento, la sua bella fronte incoronata di capelli bianchi, illuminata di santità, pura come l’ostia nel ciborio, benedetta dalla mano del Signore?

Ho sonato, su l’organo della cappella, musica di Sebastiano Bach e del Cherubini, dopo la messa. Ho sonato il preludio dell’altra sera.

Qualcuno piangeva, gemeva, oppresso dall’angoscia; qualcuno piangeva, gemeva, chiamava Dio, domandava il perdono, implorava l’aiuto, pregava con una preghiera che saliva al cielo come una fiamma. Chiamava ed era ascoltato, pregava ed era esaudito; riceveva la luce dall’alto, gittava gridi d’allegrezza, stringeva alfine la Verità e la Pace, si riposava nella clemenza del Signore.

Quest’organo non è grande, la cappella non è grande; eppure la mia anima s’è dilatata come in una basilica, s’è inalzata come in una cupola immensa, ha toccato il culmine dell’aguglia ideale ove splende il segno dei segni, nell’azzurro paradisiaco, nell’etere sublime.

Io penso ai massimi organi delle cattedrali massime, a quelli di Amburgo, di Strasburgo, di Siviglia, della badia di Weingarten, della badia di Subiaco, dei Benedettini in Catania, di Montecassino, di San Dionigi. Qual voce, qual coro di voci, qual moltitudine di grida e di preghiere, qual canto e qual pianto di popoli eguaglia la terribilità e la soavità di questo prodigioso istru―