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mento cristiano che può riunire in sè tutte le intonazioni da orecchio umano percettibili e le impercettibili ancora?
Io sogno: ― un Duomo solitario, immerso nell’ombra, misterioso, nudo, simile alla profondità d’un cratere spento che riceva dall’alto una luce siderale; e un’Anima ebra d’amore, ardente come quella di san Paolo, dolce come quella di san Giovanni, molteplice come mille anime in una, bisognosa d’esalar la sua ebrietà in una voce sopraumana; e un organo vasto come una foresta di legno e di metallo, che, come quel di San Sulpizio, abbia cinque tastiere, venti pedali, cento otto registri, più di settemila canne, tutti i suoni.
Notte. ― Invano! Invano! Nessuna cosa mi calma; nessuna cosa mi dà un’ora, un minuto, un attimo di oblio; nessuna cosa mai mi guarirà; nessun sogno della mia mente cancellerà il sogno del mio cuore. Invano!
La mia angoscia è mortale. Io sento che il mio male è incurabile; il cuore mi duole come se proprio me l’avessero stretto, me l’avessero premuto, me l’avessero guasto per sempre; il dolore morale è così intenso che si cangia in dolore fisico, in uno spasimo atroce, insostenibile. Io sono esaltata, lo so; io sono in preda a una specie di follia; e non posso vincermi, non posso contenermi, non posso riprendere la mia ragione; non posso, non posso.
Questo è dunque l’amore?
Egli e partito stamani, a cavallo, con un servo, senza ch’io l’abbia veduto. La mia mattina è