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fanoja, ma poi ho preferito aspettare che tu tornassi. Come stai? Ti trovo un po’ dimagrato, ma bene. Soltanto qui a Roma ho saputo del tuo caso; altrimenti mi sarei partito dall’India per venirti ad assistere. Ai primi di maggio, mi trovavo in Padmavati, nel Bahar. Quante cose t’ho da raccontare!

― E quante, anch’io!

Si strinsero di nuovo le mani, cordialmente. Andrea pareva lietissimo. Questo Muséllaro gli era caro sopra tutti gli altri amici, per la sua nobile intelligenza, per il suo spirito acuto, per la finezza della sua cultura.

― Ruggero, Ludovico, sedete. Giulio, siedi qui.

Egli offerse le sigarette, il tè, i liquori. La conversazione si fece vivissima. Ruggero Grimiti e il Barbarisi davano le notizie di Roma, facevano la piccola cronaca. Il fumo saliva nell’aria tingendosi ai raggi quasi orizzontali del sole; le tappezzerie s’armonizzavano in un color caldo e pastoso; l’aroma del tè si mesceva all’odor del tabacco.

― T’ho portato un sacco di tè ― disse il Muséllaro allo Sperelli ― assai migliore di quello che beveva il tuo famoso Kien-Lung.

― Ah, ti ricordi, a Londra, quando componevamo il tè, secondo la teoria poetica del grande Imperatore?

― Sai, ― disse il Grimiti. ― È a Roma Clara Green, la bionda. La vidi domenica per Villa Borghese. Mi riconobbe, mi salutò, e fece fermare la carrozza. Abita, per ora, all’Albergo d’Europa, in piazza di Spagna. È ancora bella. Ti ricordi che passione ebbe per te e come ti per-