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il barone d’Isola. ― Non ne sapete ancora nulla?

― Io sono patronessa ― rispose Elena Muti.

― Voi siete una patronessa preziosa ― fece Don Filippo del Monte, un uomo quarantenne, quasi tutto calvo, sottile aguzzatore di epigrammi, che portava sul volto una specie di maschera socratica in cui l’occhio destro scintillava mobilissimo per mille diverse espressioni e il sinistro rimaneva sempre immobile e quasi vetrificato sotto la lenta rotonda, come se l’uno servisse per esprimere e l’altro per vedere. ― Nella fiera di maggio, riceveste una nuvola d’oro.

― Ah, la fiera di maggio! Una follìa ― esclamò la marchesa d’Ateleta.

Come i servi venivan mescendo vin ghiacciato di Sciampagna, ella soggiunse:

― Ti ricordi, Elena? I nostri banchi erano vicini.

― Cinque luigi per sorso! Cinque luigi per morso! ― si mise a gridare Don Filippo del Monte, imitando per gioco la voce di un banditore.

La Muti e l’Ateleta ridevano.

― Già, già è vero. Voi gittavate il bando, Filippo ― disse Donna Francesca. ― Peccato che tu non ci fossi, cugino mio! Per cinque luigi avresti mangiato un frutto segnato prima da’ miei denti e per altri cinque luigi avresti bevuto Champagne nel concavo delle mani d’Elena.

― Che scandalo! ― interruppe la baronessa d’Isola, con una smorfietta d’orrore.

― Ah, Mary! E tu non vendevi le sigarette