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periti; un odor singolare, prodotto dall’umidità del luogo e da quelle cose antiche, empiva l’aria.

Quando Andrea Sperelli entrò, accompagnando la principessa di Ferentino, ebbe un segreto tremito. Pensò: “Sarà già venuta?„ E i suoi occhi rapidamente la cercarono.

Ella era già venuta, infatti. Sedeva innanzi al banco, tra il cavaliere Dàvila e Don Filippo del Monte. Aveva posato su l’orlo del banco i guanti e il manicotto di lontra da cui usciva fuori un mazzo di violette. Teneva tra le dita un quadretto d’argento, attribuito a Caradosso Foppa; e l’osservava con molta attenzione. Li oggetti passavano di mano in mano, lungo il banco; il perito ne faceva le lodi ad alta voce; le persone in piedi, dietro la fila delle sedie, si chinavano per guardare; quindi incominciava l’incanto. Le cifre si seguivano rapidamente. Ad ogni tratto, il perito gridava:

― Si delibera! Si delibera!

Qualche amatore, incitato dal grido, gittava una più alta cifra, guardando gli avversarii. Il perito gridava, con alzato il martello:

― Uno! Due! Tre!

E percoteva il banco. L’oggetto apparteneva all’ultimo offerente. Un mormorio si propagava intorno; poi di nuovo accendevasi la gara. Il cavaliere Dàvila, un gentiluomo napoletano che aveva forme gigantesche e maniere quasi feminee, celebre raccoglitore e conoscitor di majoliche, dava il suo giudizio su ciascun pezzo importante. Tre, veramente, in quella vendita cardinalizia, eran le cose “superiori„: la Storia di