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Narciso, la tazza di cristallo di rocca, e un elmo d’argento cesellato da Antonio del Pollajuolo, che la Signoria di Firenze donò al conte d’Urbino nel 1472, in ricompensa de’ servigi da lui resi nel tempo della presa di Volterra.

― Ecco la principessa ― disse Don Filippo del Monte alla Muti.

La Muti si levò per salutare l’amica.

― Di già sul campo! ― esclamò la Ferentino.

― Di già.

― E Francesca?

― Non è ancor giunta.

Quattro o cinque eleganti signori, il duca di Grimiti, Roberto Casteldieri, Ludovico Barbarisi, Giannetto Rùtolo, si appressarono. Altri sopravvenivano. Lo scroscio della pioggia copriva le parole.

Donna Elena porse la mano allo Sperelli, francamente, come ad ognuno. Egli si sentì, da quella stretta di mano, allontanare. Elena gli parve fredda e grave. Tutti i suoi sogni s’agghiacciarono e precipitarono, in un attimo; i ricordi della sera innanzi si confusero; le speranze si estinsero. Che aveva ella? Non era più la donna medesima. Vestiva una specie di lunga tunica di lontra e portava sul capo una specie di tòcco, anche di lontra. Aveva nell’espressione del volto qualche cosa di aspro e quasi di sprezzante. ― C’è ancora tempo, alla tazza ― ella disse alla principessa; e si rimise a sedere.

Ogni oggetto passava per le sue mani. Un Centauro intagliato in un sardonio, opera assai fina, forse proveniente dal disperso museo di