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Pagina:Il podere.djvu/173

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E se ne andò; ma, per quanto girasse, non ne trovava un altro. Allora, finse di ripassare di lì per caso, come se volesse tirare di lungo; mettendosi, dalla parte del venditore, il cappello su l’occhio. Ma quello lo fermò, poggiandogli il bastone sul collo:

— Dove vai?

— Voglio andare a casa.

— E il vitello non ce lo porti?

— No, no!

— Piglialo per ventitre napoleoni, e falla finita. Che Sant’Antonio gli tenga gli occhi addosso. Se lo merita, povera bestia!

— Te ne do venti.

Allora si misero a gridare:

— Ho detto ventitre.

— E io venti.

Stettero zitti, guardandosi negli occhi, ansando; e, poi, ricominciarono:

— Dammene ventidue. Per meno, non te lo dò anche se mi dovesse morire.

— Te ne do venti.

— Ne voglio ventidue. Piglia il vitello.

Lo sciolse, e mise la fune nelle mani di Picciòlo.

— Portalo via.

E dette una bastonata al vitello; che fece un salto, portandosi dietro Picciòlo.

— Facciamo ventuno.

Il venditore si mise a bestemmiare; ma siccome Picciòlo stava lì fermo, gridò:


Tozzi. Il podere.

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