Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
—161— |
E se ne andò; ma, per quanto girasse, non ne trovava un altro. Allora, finse di ripassare di lì per caso, come se volesse tirare di lungo; mettendosi, dalla parte del venditore, il cappello su l’occhio. Ma quello lo fermò, poggiandogli il bastone sul collo:
— Dove vai?
— Voglio andare a casa.
— E il vitello non ce lo porti?
— No, no!
— Piglialo per ventitre napoleoni, e falla finita. Che Sant’Antonio gli tenga gli occhi addosso. Se lo merita, povera bestia!
— Te ne do venti.
Allora si misero a gridare:
— Ho detto ventitre.
— E io venti.
Stettero zitti, guardandosi negli occhi, ansando; e, poi, ricominciarono:
— Dammene ventidue. Per meno, non te lo dò anche se mi dovesse morire.
— Te ne do venti.
— Ne voglio ventidue. Piglia il vitello.
Lo sciolse, e mise la fune nelle mani di Picciòlo.
— Portalo via.
E dette una bastonata al vitello; che fece un salto, portandosi dietro Picciòlo.
— Facciamo ventuno.
Il venditore si mise a bestemmiare; ma siccome Picciòlo stava lì fermo, gridò:
Tozzi. Il podere.
11