Pagina:Il tesoro.djvu/197

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mi porti via da questo mondo uggioso, pieno d’artifizi e di menzogne; mi faccia simile a lei, mi ridoni la serenità della mia fanciullezza; io vorrei rifarmi piccino accanto a lei e trovar le mie parole più dolci per sburrargliele. Oh, Elena, se sapesse il bene che mi fa!

«Di me non dubiti mai; io non so voler bene a mezzo a per poco; mi chiami con quel nome che più le piace, ma senta che io le ho data la miglior parte di me; nei suoi lavori, nelle sue passeggiate, nei suoi sogni, pensi ch’io veglio accanto a lei, sempre, e che, finch’ella mi vorrà, non la lascerò più. Ed ora devo osare di dirglielo? Incomincia a diventarmi ingrato questo lei cerimonioso, che vorrebbe impedire ogni intimità, e sarei tentato a parlarle come si parlano fra loro i poeti; ma se ella non incomincia, io non principierò mai. Qualunque sia il modo con cui le piacerà che si parlino le anime nostre, mi senta in lei come desidero sentirla in me, e vivere della sua vita, suo, tutto, tutto, e per sempre.

«Paolo.»


Ella chinò il volto sulla lettera e pensò a lungo. Oramai tutti i suoi pensieri, rivolti a Paolo, erano d’una infinita e ineffabile dolcezza: quest’ultima lettera suggellò il cerchio fatato che la circondava, e velò la realtà con un pulviscolo roseo e fragrante di sogni.