Pagina:Il tesoro.djvu/261

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argentei, spronò senza pietà la cavalla, e con la fronte aggrottata sentì tutti i suoi peggiori sentimenti prender possesso del suo essere; gli si spargevano come fiele nel sangue, e col sangue gli andavano al cervello, al cuore, a tutte le fibre, a tutti i nervi.

Avvicinandosi alla città, percorrendo lo stradale, guardò acutamente la mole rotonda delle carceri, che si disegnava nitidamente bianca nel caldo tramonto, poi sollevò gli occhi lentamente verso la montagna.

Pensò alla notte cruda e terribile della bardàna, e battè un pugno sulla sella; e in quel pugno v’era la decisione di affrontare il bandito nemico, di consegnarlo vivo o morto, come il bando diceva, alla umana giustizia.

Rientrando a casa trovò il bimbo molto sofferente, e la sguaiata domestica gli disse che Domenico non aveva preso cibo in tutta la giornata.

— Non ti ho detto di portarlo da zia Annarosa? — le gridò egli adirato.

— Non ci è voluto restare! — rispose la donna, e cominciò a parlar male.

Alessio la lasciò dire, e vezzeggiando il bimbo lo indusse a mangiare; ma quando egli stesso aprì l’armadio per prender qualche cosa, fu colto da raccapriccio, tanto disordine nauseante regnava lì dentro. C’erano stracci pieni d’olio in mezzo al pane, e panni sporchi sopra il formaggio; le posate posavano fra pezzetti di lardo