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diserterò più. Perdonami, Paolo; perdonami, adorato.

E nuovamente si sentì un po’ felice; le parve che Dio stesso la spingesse ad amare, e che benedicendo anzi il suo grande balsamico amore glielo mandasse per conforto dei dolori domestici.

Ma un giorno, agli ultimi di agosto, accadde un fatto assai doloroso.

Era un pomeriggio afoso e silenzioso; si respirava nell’aria l’odore soffocante di stoppie bruciate, e il cielo era così ardente da sembrar cinereo. Tutti riposavano, ed Elena, non potendo trovar pace in quella siesta pesante e caldissima, leggeva uno strano romanzo portatole da Cosimo il giorno avanti: Tarass Bulba di Gogol.

Era alle ultime pagine, ma leggeva svogliatamente, e le estreme scene della bizzarra epopea cosacca la lasciavano indifferente, mentre la notte prima aveva provato una forte impressione nel leggere la fine dei figli del vecchio Tarass.

Quando ebbe finito, chiuse il libro, si levò, e ricordò che Cosimo le aveva detto:

— Appena lo avrai finito lo leggerò io.

Prese il volume. — No, forse dorme — pensò, e lo ripose. Ma come spinta da una segreta voce lo riprese e scese piano le scale, ripetendo inconsciamente fra sè: Forse dorme, forse dorme. Arrivata al pian terreno, nel lungo andito su cui dava lo studio di Cosimo — che dopo il suo triste ritorno nella casa paterna, per non sco-