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Pagina:Il vicario di wakefield.djvu/110

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capitolo decimosettimo. 101

     Piangeva l’altro; e al suon de’ suoi lamenti
         Sbigottito uscì fuora il vicinato,
         E d’ogni parte accorsero le genti,
     E gridarono: «Ahi pazzo, ahi cane ingrato!
         Bestia arrabbiata che non hai cervello,
         Perchè mordere un uom sì bencriato?»
     Parve a giudizio d’ogni cristianello
         Profonda la ferita. «E’ muor perdio!»
         Giuraron tutti; «e’ sta per far fardello.»
     Ma un miracol si vide: e quell’uom pio
         Ai bugiardi indovin diede la soia;
         Ch’ei sano e salvo del suo male uscío,
     Ed issofatto il can tirò le cuoia.

“Oh viva, viva, buon Ricciardetto! Ell’è un’elegia che si potrebbe per mia fede chiamar tragica. Vuolsi bere alla tua salute. Deh che tu possa un giorno diventar vescovo!”

“Glielo auguro dal fondo dell’anima,” disse mia moglie; “che s’egli predica sì bene come e’ canta, ciò gli riuscirà senza dubbio. Poffare il cielo, come sapea ben portare le voci tutto il parentado di lui dal lato di madre! Era proverbio nella nostra provincia comunissimo, che la famiglia dei Blenkinsops non sapeva mai fissar gli occhi innanzi, nè quella degli Hugingsons soffiare nella candela; che non vi aveva individuo de’ Grograms che non cantasse, nè de’ Marjorams che non avesse sempre istoriette da raccontare.” Checchè si fosse, io le risposi che in generale ogni menoma volgare ballata di tutta quella gente a me piaceva assai più delle moderne composizioni cascanti di vezzi e tutte smancerie, sicchè ne basta una sola stanza a ristuccare chicchessia, e le quali noi detestiamo nello stesso tempo che vogliam lodarle. “Il gran fallo di codesti scrittori d’elegie, continuai a dire, è quel disperarsi che tutti fanno per isciagure le quali non possono destare che scarsa pietà nelle anime sensibili de’ lettori. Appena una dama perde il suo manicotto, il ventaglio o il cagnolino,