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Pagina:Il vicario di wakefield.djvu/193

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184 il vicario di wakefield.


CAPITOLO VENTESIMONONO.

Si dimostra l’equità della Providenza, con riflessioni sui felici e gl’infelici di quaggiù. Per la natura stessa del piacere e del dolore, il disgraziato deve ottenere proporzionata ricompensa delle sue tribolazioni, nella vita avvenire.

Esortazione ai carcerati.

Amici miei, miei figliuoli, compagni nelle sventure; sempre che io rivolgo la mente allo scompartimento de’ beni e de’ mali qui in terra, m’avveggo che molte ragioni di godimenti all’uomo furono date in sorte; ma il sofferire è maggiore. Scorrendo noi collo sguardo l’universo intero, non una sola persona ci verrebbe fatto di rinvenire la quale fosse appieno contenta e di ogni desiderio spogliata. Bensi vediamo ogni giorno mille e mille genti, che coll’uccidersi di propria lor mano dimostrano a noi essere le anime loro d’ogni speranza svestite. Però egli appare che in questo mondo puossi avere miseria compiuta, ma intera felicità giammai.

Perchè sia l’uomo dannato alle tribolazioni; perchè la nostra disavventura sia necessaria per comporre la felicità universale; e mentre ogni umana instituzione è perfetta quando sono perfette le parti subordinate, perchè mai l’universo richiegga, onde avere perfezione, che molte parti di lui non solamente siano ad altre subordinate, ma sì bene per sè stesse imperfette; elle sono queste inestricabili quistioni, e delle quali ancora lo scioglimento poca utilità ne darebbe. La Providenza ha stimato di dovere rendere vana su questi argomenti la nostra curiosità, somministrandoci per lo contrario altre maniere di consolazione.

In tale stato l’uomo chiamò in sussidio la filosofia: e il cielo allora vedendo quant’ella fosse inetta consolatrice, diedegli la religione in aiuto. Le consolazioni della filoso-