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capitolo ventesimonono. | 185 |
fia sono dilettose, ma spesse volte ingannevoli. Però ella dice da un lato che la vita sarebbe piena di piaceri, ove noi volessimo profittarne; e dall’altro che quantunque sieno inevitabili le nostre miserie, la vita è breve, e quelle presto hanno fine. Quindi a vicenda si distruggono codesti conforti; perchè se la vita appresta alcuna gioia, l’essere ella corta è una miseria; e s’ella sarà lunga, protratte verranno le nostre pene. Di tal maniera manifesta la filosofia la propria debolezza. Ma la religione ci consola con più elevati provvedimenti. L’uomo, ella dice, è posto al mondo, acciocchè ivi egli renda degna l’anima sua d’abitare in altro luogo. Il giusto, nell’abbandonare le sue membra e trasmutarsi tutto in uno spirito glorioso, si accorge d’essersi quaggiù fabbricato un paradiso di felicità. Ma il ribaldo, guasto e contaminato dai vizi, con terrore si arretra dal suo corpo, e si avvede d’avere per sè anticipata la vendetta celeste. Alla religione adunque noi dobbiamo attenerci, e da lei ritrarre i nostri diletti in ogni condizione della vita. Perocchè, se già felici noi siamo, non è ella soave cosa il sapere che sta in noi di rendere eterna la nostra felicità? E se ricolmi di guai, non è ella una consolazione somma il pensare che v’abbia un luogo fuor di questa terra riposato e pacifico? Così la religione appresta felicità non interrolla all’uom dabbene; e al cattivo propone di cambiare in prosperità i mali di lui.
Ma quantunque benigna verso di tutti la religione, particolari ricompense ella promette all’infermo, all’ignudo, al poverello privo di tetto, al tribolato, al prigione, all’infelice comunque. In ogni sua cosa il fondatore di nostra religione amico si dichiara degli sciagurati. E in ciò diverso dai falsi amici del mondo, accarezza con eterno amore l’abbandonato meschino. Sconsigliata gente ben fuvvi che questo disse un favore parziale, un preferimento non meritato; senza por mente che nè al cielo pure è conceduto di far si che una interminabile felicità sia dono in uguale misura compartito all’uomo fortunato come al mi-