Pagina:Il vicario di wakefield.djvu/35

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26 il vicario di wakefield.

ranza, perchè, diretto per l’ugual via, era stato per que’ due dì impedito nel suo cammino dalla marea, e così sperava di poter meco la mattina appresso guadarvi sicuramente. Gli feci comprendere quanta gioia io avrei avuto del viaggiare in compagnia di lui; e mia moglie e le figliuole, unendo alle mie le loro istanze, lo costrinsero a cenar con noi. Per quanto fosse piacevole ed instruttiva la conversazione di quel forastiero, e per quanto avrei bramato di protrarla, l’ora tarda ci obbligò a ritirarci e prevenire col riposo le fatiche del dì vegnente. Sorto il mattino, partimmo tutti insieme, a cavallo noi, ed a piedi il signor Burchell nostro nuovo compagno, che seguitandoci lungo il piccolo sentiero che costeggiava la strada, sorrideva della mala lena de’ nostri rozzoni e si sentiva gamba da sopravanzarci. Come la marea non era calata del tutto, fummo necessitati a noleggiare una guida che ci trottasse innanzi; ed io col signor Burchell mi locai alla retroguardia. I disagi della via ci venivano alleviati da alcune dispute filosofiche che il signor Burchell pareva intendere perfettamente; e quello di ch’io più strabiliava, si era di veder da lui difese a spada tratta le sue opinioni, e con tanta alacrità, da sembrare egli non quegli che avesse ricevuto ad imprestito la mia borsa, ma il benefattore egli stesso. Di quando in quando egli altresì mi indicava a chi appartenessero le diverse ville che ci cadevano, cammin facendo, sott’occhio; ed accennando col dito una sontuosa casa in lontananza, mi avvertì quella spettare al signor Thornhill, giovane e nobile uomo che godeva di larghe fortune, quantunque soggetto ad un suo zio, il signore Guglielmo Thornhill, il quale, pago di poco per sè, viveva per lo più in città, lasciando il restante in pieno arbitrio al nipote. Io feci le maraviglie in udire come il mio giovane padrone fosse nipote di uomo tanto da tutti per le sue virtù, la sua generosità e le sue rare doti ammirato. “L’ho sentito io,” dissi, “decantare per il maggior galantuomo del regno;