Pagina:Il vicario di wakefield.djvu/62

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        Ahi! ch’io stolta con vano consiglio
      Ora blando-ridente e pietoso,
      Or severo volgendogli il ciglio,
        Ogni pace a lui tolsi e riposo;
      E con l’arte più scaltra e crudele
      Tormentai quel suo core amoroso.
        M’era caro saperlo fedele;
      Ma superba godea di sue pene,
      E gioiva in udir sue querele.
        L’infelice, perduta ogni spene,
      Del mio lungo disprezzo affannato
      Ruppe alfine le dure catene:
        E un lontano deserto cercato,
      Ivi morte pregò che venisse:
      E morendo fe mite il suo fato.
        Ma son io la crudel che ’l trafisse;
      E il rimorso che il cor mi flagella,
      Già al mio fallo l’ammenda prescrisse,
        E al deserto medesmo mi appella.
          Là piangente, disperata,
            La sua tomba abbraccerò.
            Là da tutti abbandonata,
            La mia morte affretterò.
              Così Edevino
                 Per me morì;
                 Per lui voglio
                 Morir così.
        Ah! no, non farlo, il solitario esclama,
      Alla vergin dolente;
      E corre, e se la stringe
      Al sen teneramente.
      Ritrosa ella si volge, e lo respinge.
      Oh ciel! chi mai, chi al guardo le si affaccia!
      Edevino, Edevino è che l’abbraccia.
        Volgi a me, mio bel disio,
          Le tue fulgide pupille,
          Angelina, idolo mio.
            Deh! cara, volgiti