Pagina:Iliade (Monti).djvu/131

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120 iliade v.490

Amata figlia, in te sì grave offesa,490
Coma rea di gran fallo alla scoperta?
Il superbo Tidíde Dïomede,
Rispose Citerea, l’empio ferimmi
Perchè il mio figlio, il mio sovra ogni cosa
Diletto Enea sottrassi dalla pugna,495
Che pugna non è più di Teucri e Achivi,
Ma d’Achivi e di numi. - E a lei Dïona
Inclita Diva replicò: Sopporta
In pace, o figlia, il tuo dolor; chè molti
Degl’Immortali con alterno danno500
Molte soffrimmo dai mortali offese.
Le soffrì Marte il dì che gli Aloídi
Oto e il forte Efïalte l’annodaro
D’aspre catene. Un anno avvinto e un mese
In carcere di ferro egli si stette,505
E forse vi pería, se la leggiadra
Madrigna Eeribéa nol rivelava
Al buon Mercurio che di là furtivo
Lo sottrasse, già tutto per la lunga
E dolorosa prigionía consunto.510
Le soffrì Giuno allor che il forte figlio
D’Anfitrïone con trisulco dardo
La destra poppa le piagò, sì ch’ella
D’alto duol ne fu colta. Anco il gran Pluto
Dal medesmo mortal figlio di Giove515
Aspro sofferse di saetta un colpo
Là su le porte dell’Inferno, e tale
Lo conquise un dolor, che lamentoso
E con lo stral ne’ duri omeri infisso
All’Olimpo sen venne, ove Peone,520
Di lenitivi farmaci spargendo
La ferita, il sanò; chè sua natura
Mortal non era: ma ben era audace