Pagina:Iliade (Monti).djvu/151

Da Wikisource.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
140 iliade v.1169

Stimolò di Tidéo l’audace figlio
A pazzamente guerreggiar co’ numi;1170
Ella a ferir Ciprigna; ella a scagliarsi
Contra me stesso, e pareggiarsi a un Dio.
E se più tardo il piè fuggía, sarei
Steso rimasto fra quei tanti uccisi
In lunghe pene, nè morir potendo1175
M’avría de’ colpi infranto la tempesta.
   Bieco il guatò l’adunator de’ nembi
Giove, e rispose: Querimonie e lai
Non mi far qui seduto al fianco mio,
Fazïoso incostante, e a me fra tutti1180
I Celesti odïoso. E risse e zuffe
E discordie e battaglie, ecco le care
Tue delizie. Trasfuso in te conosco
Di tua madre Giunon l’intollerando
Inflessibile spirto, a cui mal posso1185
Pur colle dolci riparar; nè certo
D’altronde io penso che il tuo danno or scenda,
Che dal suo torto consigliar. Non io
Vo’ per questo patir che tu sostegna
Più lungo duolo: mi sei figlio, e caro1190
La Dea tua madre a me ti partoría.
Se malvagio, qual sei, d’altro qualunque
Nume nascevi, da gran tempo avresti
Sorte incorsa peggior degli Uranídi.
   Così detto, a Peon comando ei fece1195
Di risanarlo. La ferita ei sparse
Di lenitivo medicame, e tolto
Ogni dolore, il tornò sano al tutto,
Chè mortale ei non era. E come il latte
Per lo gaglio sbattuto si rappiglia,1200
E perde il suo fluir sotto la mano
Del presto mescitor; presta del pari