Pagina:Iliade (Monti).djvu/150

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v.1135 libro quinto 139

La Dea Minerva e la stornò dal carro,1135
E vano il colpo rïuscì. Secondo
Spinse l’asta il Tidíde a tutta forza.
La diresse Minerva, e al Dio l’infisse
Sotto il cinto nell’epa, e vulnerollo,
E lacerata la divina cute1140
L’asta ritrasse. Mugolò il ferito
Nume, e ruppe in un tuon pari di nove
O dieci mila combattenti al grido
Quando appiccan la zuffa. I Troi l’udiro,
L’udîr gli Achivi, e ne tremâr: sì forte1145
Fu di Marte il muggito. E quale pel grave
Vento che spira dalla calda terra
Si fa di nubi tenebroso il cielo;
Tal parve il ferreo Marte a Dïomede,
Mentre avvolto di nugoli alle sfere1150
Dolorando salía. Giunto alla sede
Degli Dei su l’Olimpo, accanto a Giove
Mesto s’assise, discoperse il sangue
Immortal che scorrea dalla ferita,
E in suono di lamento: O padre, ei disse,1155
E non t’adiri a cotal vista, a fatti
Sì nequitosi? Esizïosa sempre
A noi Divi tornò la mutua gara
Di gratuir l’umana stirpe; e intanto
Di nostre liti la cagion tu sei,1160
Tu che una figlia generasti insana,
E di sterminii e di malvage imprese
Invaghita mai sempre. Obbedïenti
Hai quanti alberga Sempiterni il cielo;
Tutti inchiniamo a te. Sola costei1165
Nè con fatti frenar nè con parole
Tu sai per anco, connivente padre
Di pestifera furia. Ella pur dianzi