Pagina:Iliade (Monti).djvu/203

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192 iliade v.215

Di femminetta. Via di qua, fanciulla;215
Non salirai tu, no, fin ch’io respiro,
D’Ilio le torri, nè trarrai cattive
Le nostre mogli nelle navi, e morto
Per la mia destra giacerai tu pria.
   Stettesi in forse a quel parlar l’eroe220
Di dar volta ai cavalli, e d’affrontarlo.
Ben tre volte nel core e nella mente
Gliene corse il desío, tre volte Giove
Rimormorò dall’Ida, e fe’ securi
Della vittoria con quel segno i Teucri.225
Con orribile grido Ettore allora
Animando le schiere: O Licii, o Dardani,
O Troiani, dicea, prodi compagni,
Mostratevi valenti, e fuor mettete
Le generose forze. Io non m’inganno,230
Giove è propizio; di vittoria a noi
E d’esizio a’ nemici ei diede il segno.
Stolti! che questo alzâr debile muro,
Troppo al nostro valor frale ritegno.
Quella lor fossa varcheran d’un salto235
I miei cavalli; e quando emerso a vista
Io sarò delle navi, allor le faci
Ministrarmi qualcun si risovvegna,
Ond’io que’ legni incenda, e fra le vampe
Sbalorditi dal fumo i Greci uccida.240
   Poi conforta i destrieri, e sì lor parla:
Xanto, Podargo, Etón, Lampo divino,
Mercè del largo cibo or mi rendete,
Che dell’illustre Eezïon la figlia
Andromaca vi porge, il dolce io dico245
Frumento, e l’alma di Lïeo bevanda,
Ch’ella a voi mesce desïosi, a voi
Pria che a me stesso che pur suo mi vanto