Pagina:Iliade (Monti).djvu/222

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v.48 libro nono 211

D’ogni coraggio, e l’udîr tutti. Or io
Dico a te di rimando, che se Giove
L’un ti diè de’ suoi doni, l’onor sommo50
Dello scettro su noi, non ti concesse
L’altro più grande che lo scettro, il core.
Misero! e speri sì codardi e fiacchi,
Come pur cianci, della Grecia i figli?
Se il cor ti sprona alla partenza, parti;55
Sono aperte le vie; le numerose
Navi, che d’Argo ti seguîr, son pronte:
Ma gli altri Achivi rimarran qui fermi
All’eccidio di Troia; e se pur essi
Fuggiran sulle prore al patrio lido,60
Noi resteremo a guerreggiar; noi due
Sténelo e Dïomede, insin che giunga
Il dì supremo d’Ilïon; chè noi
Qua ne venimmo col favor d’un Dio.
   Tacque; e tutti mandâr di plauso un grido,65
Del Tidíde ammirando i generosi
Sensi; e di Pilo il venerabil veglio
Surto in piedi dicea: Nelle battaglie
Forte ti mostri, o Dïomede, e vinci
Di senno insieme i coetani eroi.70
Nè biasmar nè impugnar le tue parole
Potrà qui nullo degli Achei: ma pure,
Benchè retti e prudenti e di noi degni,
Non ferîr giusto i tuoi discorsi il segno.
Giovinetto se’ tu, sì che il minore75
Esser potresti de’ miei figli. Io dunque
Che di te più d’assai vecchio mi vanto,
Dironne il resto, nè il mio dir veruno
Biasmerà, non lo stesso Agamennóne.
È senza patria, senza leggi e senza80
Lari chi la civile orrenda guerra