Pagina:Iliade (Monti).djvu/239

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228 iliade v.625

Adagiato t’avessi e carezzato625
Su’ miei ginocchi, minuzzando il cibo,
E porgendo la beva che dal labbro
Infantil traboccando a me sovente
Irrigava sul petto il vestimento.
Così molto soffersi a tua cagione,630
E consolava le mie pene il dolce
Pensier che, i numi a me negando un figlio
Generato da me, tu mi saresti
Tal per amore divenuto, e tale
M’avresti salvo un dì da ria sciagura.635
Doma dunque, cor mio, doma l’altero
Tuo spirto: disconviene una spietata
Anima a te che rassomigli i numi:
Chè i numi stessi, sì di noi più grandi
D’onor, di forza, di virtù, son miti;640
E con vittime e voti e libamenti
E odorosi olocausti il supplicante
Mortal li placa nell’error caduto.
Perocchè del gran Giove alme figliuole
Son le Preghiere che dal pianto fatte645
Rugose e losche con incerto passo
Van dietro ad Ate ad emendarla intese.
Vigorosa di piè questa nocente
Forte Dea le precorre, e discorrendo
La terra tutta l’uman germe offende.650
Esse van dopo, e degli offesi han cura.
Chi rispettoso queste Dee riceve,
Ne va colmo di beni ed esaudito;
Chi pertinace le respinge indietro,
Ne spermenta lo sdegno. Esse del padre655
Si presentano al trono, e gli fan prego
Ch’Ate ratta inseguisca, e al fio suggetti
L’inesorato che al pregar fu sordo.